L’entrata del Paradiso era una fessura tra due nuvolacce di sabbia tempestosa sulla cima dell’Olympus mons del pianeta Marte, a ventisette chilometri di altezza per cui, tra il fumo del vulcano più alto del sistema solare e la bufera, non ci si vedeva niente.
Mimma e Cristina trattennero il fiato e la pancia, proclamando in coro: < Appena ritorno mi metto a dieta >.
< Già > osservo l’arcangelo Ciccino, < magari ogni volta da domani in poi: lunedì per il martedì, martedì per il mercoledì e così via ad infinito >.
Intanto gli angioletti ridevano e le pigliavano in giro: < Ciccione, ciccione >.
Stavolta non era stato necessario cambiarsi d’abito: Ciccino affermò che le angiolesse avrebbero compiuto la vestizione al loro ingresso. In quanto al bagaglio, avrebbero trovato tutto sul luogo e non servivano né cornetti né cassata siciliana.
< Ma noi vorremmo portare un regalino al Padre > avevano protestato le due poetesse concordi, < che so io, una bella cravatta colorata >.
< Forse un quadro fatto da me >.
< Oppure una poesia scritta da me >.
<Magari un computer di quelli piccolini, per venire sui nostri blog quando ha voglia>.
< Un plaid di pura lana vergine, che a quell’età gli tenga calde le ginocchia >.
< Le pantofole, ecco, gradirà le pantofole >.
< Basta, ragazze > le interruppe Pasticcio, timoroso che arrivassero ai calzini e alla maglia della salute, < mi sorprende che abbiate del Padre un’idea talmente antropomorfa >.
< Perché, tu come lo vedi? Com’è Dio? > chiesero in coro le “ ragazze “ .
< Dio è amore e l’amore è tutto > rispose il vecchio gesuita e l’emozione gli rese la voce roca.
Oltrepassata la fessura, Mimma e Cristina credevano di sentire i cori angelici e di vedere visioni luminosissime, così ognuna inforcò un paio di occhiali di quelli che servono agli operai per lavorare con la fiamma ossidrica e si misero i tappi di cera nelle orecchie chissà i canti fossero diventati esageratamente acuti per i loro timpani.
L’idea degli occhiali e dei tappi era venuta a Iole, la sorella di Mimma, con la quale si erano confidate telefonandosi gratis tramite skype.
< Verrei volentieri anch’io > aveva affermato Iole, ma non voglio lasciare i miei figli. Giovanni arriva tra due giorni da Siena e Mariachiara è fidanzata fresca >.
Quando Ciccino vide le poetesse che sembravano due formichieri e non gli rispondevano perché non lo sentivano, le rimproverò un pochino: < Vi avevo detto di non portare niente > affermò e così sia gli occhialoni che i tappi volarono nel cratere dell’Olympus mons, < il paradiso è oltre ogni misera cosa terrena >.
< Ma una guantiera di cannoli al Padre…> osò Mimma a bassa voce, Cristina le dette una gomitata, < e stai zitta o si arrabbia, sempre maschio è, per quanto arcangelo > sussurrò. Una volta dentro aguzzarono gli occhi e intravidero un modesto istituto di cemento con un’insegna arrugginita su cui, a lettere sbiadite, era scritto: Università Paradisiaca. Doveva anche esserci un grosso incendio perché dalle finestre minuscole e dalla porticina uscivano lingue di fuoco a volontà.
In tutto quell’ovattato i bagliori che mandavano erano l’unica cosa chiaramente visibile e c’era pure un gran caldo che sembrava di avere nuovamente le vampate della menopausa.
< Io non entro > disse Cristina puntando i piedi per terra, pardon, nell’aria, < no, no e poi no, non mi piace questa scuola, ha l’aspetto tetro, c’è pure l’ incendio dentro, erano più allegri l’inferno e il purgatorio >.
< Tu sei sicuro che questo sia il paradiso e no una succursale dei diavoli? > chiese Mimma.
Francesco Pasticcio osservò accuratamente la mappa . < Non c’è trucco e non c’è inganno > rispose , < la via è una sola: dritti in alto. E poi questa è l’università paradisiaca, bisogna frequentarla prima di accedere alla visione. Voi due siete fortunate: molti hanno dovuto incominciare gli studi dall’asilo infantile >.
Quel giorno si era messo in jeans e camicia fantasia disegnata ad ali bianche. Portava un’aureola sottile, che mandava raggi di luce violenta tutt’intorno come un faro.
Anche i bambini erano in jeans, lui con un paio di pantaloncini corti e lei con una tunichetta alle ginocchia.
< Ciccino > disse la femmina, < ma noi all’università cosa veniamo a fare? Non possiamo giocare coi fulmini in questa bella tempesta di sabbia? Chiediamo un pomeriggio di libera uscita >.
< Sì, sì, sono d’accordo > rispose il maschio ammainando la propria bandiera,
< tanto siamo nel tifone qui accanto, se hai bisogno di noi facci un fischio e verremo subito ad annunciarti >.
< E va bene > concesse Ciccino, < fatevi la partita a fulmini finché volete, però vi chiamerò telepaticamente perché non sono mai stato capace di fischiare >.
Si rivolse nuovamente alle due poetesse: < Allora, cosa scegliete? Un rapido rientro nelle vostre comode case deludendo il Padre oppure affrontare le fiamme del paradiso e gli studi universitari ? >.
Mimma e Cristina non ci pensarono nemmeno un attimo: < Non possiamo dare un dispiacere al Padre dopo tutto quello che fa per noi >.
< E poi, noi lo amiamo moltissimo e vogliamo vederlo anche un solo attimo >.
< Pazienza, se il Paradiso è noioso e questo luogo ci mette tristezza e paura >.
Francesco Pasticcio fece un sorrisetto sbilenco ed allungò un braccio indicando la porticina di accesso all’università.
Fine della prima puntata
Mimma pensò che era tanto stretta e bassa da sembrare l’entrata del pollaio dei suoi zii. Ai tempi lei, che poteva avere tre o quattro anni, ci camminava comoda a testa alta sicché l’incaricavano sempre di andare a raccogliere le uova, Mimma era convinta che, quando l’uovo era pronto e scodellato, le galline gridassero tanto per avvertire gli umani di andarselo a prendere, sicché una volta sollevò una gallina marrone per vedere se avesse finito e quella l’inseguì, furibonda, per tutto il pollaio, ma Mimma, sempre ai tempi, era veloce e nemmeno la gallina poté raggiungerla.
Insomma, tra queste interessanti cogitazioni, si trovarono tutti e tre all’interno dell’edificio, che aveva muri di fuoco, al che sia Mimma che Cristina incominciarono a pensare che sarebbe stata invece saggia idea portare appresso almeno un ventaglio per una e altro che granita di limone, le lastre di ghiaccio dei poli ci sarebbero volute. Si volsero verso Ciccino e videro che era bello fresco e tranquillo, forse per la mancanza del corpo.
< Ragazze, respirate a fondo, sentite che temperatura meravigliosa ? > disse.
Un bidello sciancato e una bidella cieca stavano smistando una gran fila di anime da mandare alle varie segreterie per le iscrizioni suddividendole in coniugati, minorenni, preti, monache, single di tutte le età e poeti.
Sulla destra c’erano gli spogliatoi femminili e a sinistra quelli maschili. Due angiolesse in divisa di infermiera si accostarono a Mimma e Cristina invitandole dentro.
Mimma si guardò intorno e vide una gran vasca da bagno dalla quale guizzavano fiamme. Restò a bocca aperta.
< Spogliati ed entra nel fuoco d’amore > dissero in coro le angiolesse.
< Ma forse voi non sapete che io ho ancora il corpo > tentò di tergiversare Mimma.
< Sappiamo, sappiamo tutto > risero le angiolesse, < allora? >.
Mimma provò il fuoco con il piede destro e lo ritirò subito.
< Hai bisogno di aiuto ? >.
< Vorrei tornare a casa >.
< Fifona >
Mimma provò il fuoco col piede sinistro, ma bruciava come dall’altro lato.
< Se entri, tra poco incontrerai tua mamma, tuo papà e gli zii amati > affermò la prima angiolessa.
Mimma provò il fuoco col mignolo della mano destra e senz’altro scottava.
< Se entri, incontrerai tutti gli amici che ti hanno preceduta >, le sussurrò all’orecchio la seconda angiolessa.
Mimma provò il fuoco col mignolo della mano sinistra e lanciò un piccolo grido.
< Coraggio, tutto d’un colpo. Se entri potrai vedere il tuo libro con la favola dell’Usignola stonata appena pubblicato in Paradiso, l’hanno letto tutti i santi e gli angeli del cielo >.
Mimma si buttò ed il fuoco le si appiccò in delizia, entrò nelle sue vene, sparirono d’un colpo la miopia, l’anca usurata, l’artrosi articolare polidistrettuale, il grasso superfluo e il colesterolo, si distesero tutte le rughe, le si rinforzarono le unghie e le crebbero i denti mancanti. All’uscita dalla vasca aveva vent’anni e un giorno ed una coltre di capelli nerissimi sulla schiena.
Le angiolesse l’aiutarono a indossare, dissero, l’abito di nozze, che era di una seta impalpabile, tutto bianco.
Mimma si sentiva strana, anzi stranissima.
< Ma io non sono degna > sussurrò percependo in petto uno struggimento soave, di totale innocenza.
< Nessun essere umano ne è degno > disse la prima angiolessa.
< Per questo venite a scuola d’amore > disse la seconda angiolessa.
< Adesso devi scegliere il diadema > aggiunsero in coro, e le presentarono due corone, una di rose bianche senza spine ed una di brillanti e perle montati su oro massiccio.
Senza esitare Mimma indicò i fiori, che le angiolesse le sistemarono sulla testa.
Uscirono dagli spogliatoi mentre contemporaneamente veniva fuori anche Cristina dall’altra stanza.
Portavano entrambe la corona di rose e dissero in coro: < Quanto sei bella >.
Solo, Cristina era bionda con gli occhi verdi cangianti.
Anche Francesco Pasticcio era vestito di bianco, con una rosa all’occhiello. Era ringiovanito di cinquantacinque anni, allungato di ventiquattro centimetri e gli erano ricresciuti sia i capelli che i denti.
< Se voglio, posso riprendere l’aspetto dimesso che avevo in terra > si confidò,
< ma non è giusto che il Padre faccia cattiva figura >.
Mimma e Cristina convennero che la bellezza era un aspetto importante del Paradiso perché manifestava all’esterno l’armonia interiore.
< Peccato che non ho mai portato la macchinetta digitale > disse Mimma, < mi sarebbe piaciuto avere un ricordo dei nostri viaggi >.
< Non pensi > rispose Cristina, < che l’esperienza diretta valga più di un album fotografico ? >.
Così discorrendo si avviarono verso la segreteria dei poeti per iscriversi.
Fine della seconda puntata
La segretaria era una paralitica smunta, coi capelli bianchi legati a crocchia. Ci doveva pure essere una ragione per cui, in paradiso, c’erano tutti quei poveracci impiegati nell’università. Era anche sorda e parlava con lenti balbettii, sicché ci volle una gran pazienza prima di avere i moduli compilati.
<Cristina Bove >.
< Come? >.
< Cristina Bove >.
< Cosa? >.
< Aspetti, signora, glielo scrivo io > disse Cristina con garbo.
< Puoi entrare in classe, in fondo a destra > rispose la segretaria con un sorriso, che sembrò divertito, poi si rivolse a Mimma:
< Nome, prego? >.
< Domenica Luise > rispose Mimma.
< Ma Luise è il nome o il cognome? >.
< E’ il cognome >.
< Allora debbo scrivere Aloisi ? >.
< No, Luise, aspetti, signora, lo scrivo io > rispose Mimma con dolcezza.
< Puoi raggiungere la tua amica > disse la segretaria, si alzò dalla sedia a rotelle e si mise a parlare con grande scioltezza, ci sentiva pure bene. Mah. Chiacchierava allegramente con la signora che iscriveva i coniugati e, da dietro, si vedevano dei lunghi capelli lisci castani con riflessi dorati, altro che crocchia bianca.
La prima classe dell’università paradisiaca era uno stanzone pieno di panche con le anime sedute strette che quasi non entravano. Un angelo scriveva su una lavagna blu con un gessetto fosforescente.
< La luce viaggia a circa trecentomila chilometri al secondo > diceva, < eppure la distanza dal più probabile pianeta abitabile alla terra è tale che l’essere umano non ha alcuna possibilità di raggiungerlo con le conoscenze tecniche attualmente in suo possesso.
Ci vorrebbe un’altra forma di energia, alla cui accelerazione tuttavia i corpi umani lanciati nello spazio dentro un’astronave non potrebbero resistere e nemmeno l’astronave.
Siete stati capaci di tirare dei sassolini intorno alla terra e il vostro massimo è stato fare una passeggiata sulla luna, dove avete osato lasciare una bandiera.
La fame di universo è, in realtà, fame di Dio >.
< Questo è l’angelo della conoscenza > sussurrò Ciccino alle orecchie delle poetesse. Cristina beveva quelle parole: < Ecco una predica che mi piace > affermò.
< Forse perché non è una predica > rispose Mimma.
< E che cos’è, allora? >.
< Un atto d’amore > disse l’arcangelo, < guardate la sua postura inclinata verso gli allievi, come si porge e il tono della voce nel comunicare agli altri quello che sa. I maestri sono tutti serafini del più alto coro, qualificatissimi >.
< Avete capito ? > chiese l’angelo guardando gli allievi tutt’intorno con occhi acuti.
< Certo, è semplice > risposero le anime in ascolto.
< Ci sono domande ? >.
Mimma alzò la mano: < Maestro > disse, < mi scusi, dove finisce l’universo? E’ vera la teoria dei multiversi? E se l’universo finisce, in che cosa è contenuto? E l’ultimo universo che contiene tutti gli altri, in che cosa è contenuto? E come ha fatto Dio a creare tutto questo dal nulla o dal fango o da quello che è? >.
< A queste domande non si dà risposta adesso > rispose l’angelo brillando intensamente, < signora, lei è qui in gita turistica, ancora fornita di corpo. Ciò che vede e sperimenta è appena l’inizio della conoscenza amorosa, per le altre risposte deve attendere la morte e il passaggio senza ritorno. Anche se io le volessi rispondere, come sarei libero di fare, il suo debole pensiero, che usa ancora un cervello terreno, non mi potrebbe seguire né ricorderebbe i concetti. Però mi compiaccio per le domande poste all’ordine del giorno.
< Allora potete passare tutti nella seconda classe, qui a fianco. Auguri, miei cari, e vivete felici >.
< Ma guarda > fece Mimma, < lo dico sempre anch’io : vivete felici >.
E dalla faccia di tutta quella gente la felicità era lampante.
Però Mimma e Cristina avevano una domanda che non riuscivano più a trattenere:
come mai, in Paradiso, c’erano un bidello sciancato, una bidella cieca e una segretaria paralitica e sorda, per di più?
E perché l’istituto universitario era talmente misero a vedersi?
Tuttavia non osavano chiedere a Ciccino, che ovviamente aveva capito e tratteneva a stento le risate.
<Ve lo voglio dire subito > affermò all’improvviso, < al Padre piace la povertà umana>.
< Ecco perché ci ama tanto > risposero in coro Mimma e Cristina.
< Perché siamo piene di dubbi, di domande senza risposte, di inciampi e retromarce, ecco la divina ragione >.
< E’ il suo bacio sull’anima dei miseri >.
< Il nostro vuoto lo attira, non la perfezione, che poi sulla terra non esiste >.
< Non mi dire che quando mi vede arrabbiata per il dolore degli innocenti, di cui non capisco il perché, egli mi ama di più > sussurrò Cristina.
< Noi siamo amate. Due povere vecchie > riprese Mimma.
< Proprio così, o non avrebbe amato me > concluse Ciccino.
Fine della terza puntata
Si sedettero nei banchi della seconda classe, l’angiolessa della tenerezza era una ragazza bellissima, aveva gli occhi di velluto scuro e i capelli pettinati a coda di cavallo che le arrivava fino alla vita. < Questa donna ha dovuto scegliere fra portare avanti la gravidanza oppure morire lei stessa generando il figlio, adesso ha un bambino sulla terra > sussurrò Pasticcio accomodandosi.
< Non è giusto > rispose impetuosamente Cristina , < perché quel bambino deve vivere senza la sua mamma? >.
< Di che cosa è morta ? > domandò Mimma.
< Aveva un cancro maligno all’utero, se abortiva subito si poteva salvare, ma per farlo nascere si è riempita di metastasi >.
< Ecco, queste sono le cose che non sopporto > fece Cristina sbuffando un po’ troppo energicamente.
Intanto l’angiolessa aveva iniziato la propria lezione:
< Pensate a che cosa prova una madre mentre allatta per la prima volta il figlio e il suo sangue diventa nutrimento che il bambino succhia.
E’ una eucaristia umana, pallida immagine dell’amore di Cristo verso ogni creatura e non viceversa.
A quello stesso seno di Dio sono nutriti tutti gli esseri viventi ugualmente amati con ogni tenerezza, di qualunque religione o ateismo siano.
Per questo motivo ognuno di voi è chiamato all’amore verso il prossimo, tanto da tenerlo come un bambino piccolo alle vostre mammelle interiori.
Debbono saperlo specialmente i creativi: ogni vostra opera è nutrimento per gli altri, siate cibo buono e farete la moltiplicazione dei pani con poesie, racconti, quadri e blog.
Nulla si perderà col tempo, ma tutto risplenderà.
Ci sono domande? >.
Cristina alzò la mano:
< Signora maestra >, disse, < perché Dio permette che gli innocenti soffrano tanto mentre i cattivi mangiano, bevono e prolificano? >.
L’angiolessa scrutò l’espressione di Cristina e ne vide il turbamento: < E’ unione coi misteri di crocifissione e morte del Figlio di Dio > rispose dolcemente, < ma questo lo potrete comprendere soltanto nella vita che segue alla morte, per adesso deve bastarvi la fede e, a quanto vedo, lei è ancora nel suo corpo terreno. E’ stato duro anche per me. Sapesse, signora, quanto ho invocato un miracolo che mi facesse vivere accanto al mio bambino e quante volte ho gridato >.
Cristina, che aveva supposto un’incrollabilità, restò a bocca aperta. Allora i santi non erano perfetti fin dalla terra. Questa cosa la illuminò. Quante volte aveva detto a Mimma: < Io non voglio farmi santa, io non voglio andare in paradiso > ed eccola lì seduta, coi suoi perché intatti, davanti ad una mamma che aveva amato oltre la propria vita nel senso reale del termine.
Chinò i bellissimi occhi fissando la superficie scrostata del proprio banco: < Mi scusi > disse accorata, < non volevo essere impertinente, è che non capisco >.
< E non può capire, signora. Deve soltanto aspettare il suo momento >.
L’angiolessa le sorrise e Cristina provò una pace profonda.
Era per lei un’esperienza talmente insolita che rimase in silenzio a lungo. Sentiva penetrare una luminosità nuova nei suoi pensieri torturati dal dubbio. In questo, capì la propria grandezza umana e quella di tutti i viventi di qualunque razza e specie.
Vide l’armonia semplice della vita totale dentro la propria vita e come tutto fosse amore, e il dolore soltanto l’amore in maschera, nascosto.
Fu un lampo interno.
Tra tutte quelle anime della classe alcune signore avevano scelto il diadema di oro massiccio e gemme, ma era pesante e così lo mettevano sul banco oppure lo tenevano in mano, < Guarda > disse Mimma a Cristina, < gli dà fastidio la corona >.
< Soltanto i fiori sono leggeri > sussurrò Ciccino annusando la propria rosa.
Alcune signore incominciarono a chiedere se potevano tornare indietro a prendersi la corona di rose, < No > rispose l’angiolessa, < perché la scelta è fatta una volta sola, ma se questo gioiello vi opprime potete abbandonarlo quando volete >.
Quasi tutte lo lasciarono con un sospiro di sollievo, quelle poche che lo tennero camminavano con la testa piegata dalla fatica.
< Vedete come la ricchezza non serve a niente, specialmente in paradiso ? > disse Ciccino, < queste signore resteranno tutte senza diadema: prima o poi lo molleranno da una parte >.
< Io non porto gioielli > disse Cristina.
< Io li ho portati e chiedo perdono > disse Mimma.
< Se volessimo pensare al nostro poco amore dovremmo coprirci la faccia e scappare lontano dal Padre > aggiunse Cristina.
< Invece com’è che desideriamo tanto di vederlo ? > chiese Mimma.
< E’ l’amore che vi attira > rispose Ciccino, < piuttosto adesso faccio rientrare i bambini, hanno giocato fin troppo qui intorno >, si concentrò con una ruga in mezzo alla fronte e subito riapparirono gli angioletti portabandiera scuotendo dapertutto la sabbia marziana: sembravano due cagnolini appena usciti dal bagno.
Erano allegrissimi e si misero ad annunciare a gran voce la presenza di sua eccellenza l’arcangelo, così tutte le anime incominciarono a chiedergli l’autografo, che Pasticcio firmava velocemente ed in lampante imbarazzo.
Fine della quarta puntata
< Ho una strana sensazione > disse Mimma a Cristina passando nella terza aula,
< mi sento come se in questo istituto povero e vecchio fossi proprio a casa mia e conoscessi tutte queste persone da sempre >.
< E’ la sensazione provocata dall’amore > intervenne Francesco Pasticcio pensando che gli sarebbe tanto piaciuto abbracciare un po’ il Padre e farsi abbracciare, era l’unica conoscenza approfondita che avesse da quando era entrato in paradiso ed era anche troppo per le sue forze.
< Egli si è fatto vedere sempre da me come un bel signore anziano e saggio > mormorò a bassa voce, < ma sento che c’è molto di più, all’infinito >.
<Lo sanno tutti perfino in terra che quello è un modo metaforico di rappresentarlo> rispose Cristina.
< Praticamente come una poesia > aggiunse Mimma sedendosi sulla panca.
Stavolta il maestro era un bambino, che stava a cavalcioni sulla cattedra, indossava una tuta decorata ad angioletti e stringeva al petto un peluche in forma di orsacchiotto candido.
< Sono l’angelo dell’amore filiale > disse, < i più piccoli restano tranquilli in braccio alla mamma, non sanno né camminare da soli né nutrirsi né niente, è la mamma che fa tutto, i figli si abbandonano fiduciosi qualunque cosa avvenga.
Ogni sostanza d’amore è nello scambio materno e filiale.
Se Mimma è accorata e Cristina la conforta, le fa da madre e Mimma è figlia, ma se Cristina è accorata e Mimma la conforta le parti dell’amore si invertono >.
L’angelo indicò le due poetesse, che arrossirono perché tutti si volsero a guardarle e applaudirono.
< Siamo maestri e allievi simultaneamente. Nessuno, tranne Dio, sa tutto e può tutto > affermava l’angelo dell’umiltà nella classe quarta, < quindi ognuno è complementare all’altro e ha il compito di ascoltarlo, valorizzarlo e volere il suo bene. Siete giardini aperti >.
Cristina, che si era un pochino distratta ammirando la bellezza estetica dell’angelo, alla parola “ giardini “ rientrò in se stessa,
< Mi scusi, signor maestro > disse, < come faccio a capire se il giardino dei poeti…sa, è uno dei miei cinquantacinque blog, come faccio a distinguere se questa cosa è gradita a Dio o se magari sbaglio? >.
< Ma che dici? Sei seconda soltanto al blog della juventus per numero di visite >, Mimma la tirò per la manica mentre a Francesco Pasticcio scappava da ridere.
< Da come ti senti > rispose l’angelo dell’umiltà, < se provi gioia e pace quello che fai va bene e Dio è contento di te, se invece senti malessere interiore, allora stai attenta, qualcosa non quadra, che so io, anche un’imperfezione di delicatezza trattando con gli altri o un attimo di superbia per la coscienza del proprio valore >.
< Però non è facile, signor maestro > rispose Mimma ammirandolo in cuor suo, era proprio un bell’uomo.
< Il paradiso va meritato > tagliò corto l’angelo dell’umiltà, < il seme è in regalo, coltivarlo tocca a voi >.
Subito passarono tutti nella quinta classe, < Ma non ci riposiamo mai? Io ho fame > disse Mimma, < non c’è niente da mangiare in paradiso tranne la sapienza? >.
< Anch’io ho fame > incalzò Cristina, < tra poco mi viene uno svenimento, la pressione deve essere a zero >.
< Noi due abbiamo ancora il corpo > affermarono in coro.
< Donne di poca fede > rispose Ciccino, si rovistò nelle tasche, che sembrava il tenente Colombo quando fa lo scemo, e ne cavò due pacchettini elegantemente infiocchettati di bianco argenteo. Dentro c’erano due pagnottelle da qualche quindici o venti grammi cadauna. Le poetesse sbarrarono gli occhi e aprirono la bocca per la sorpresa, e adesso cosa ci facevano con quel morso di pane e tanta fame arretrata? Pasticcio ne approfittò per imboccarle, alla fine si decisero a inghiottire e quello che provarono dentro di sé toccò l’ineffabile. Per questo non tento descrizioni.
< Brave > si compiacque Ciccino, < Vi siete comportate da figlie fiduciose e umili. Adesso sarete sazie e piene di forza fino a che non tornerete in terra >.
Fine della quinta puntata
Epilogo
Nella quinta classe avrebbe tenuto una conferenza l’angiolessa dell’amore serafico, così affermò Francesco Pasticcio sottovoce.
< Perché parli tanto piano ? > chiese Cristina abbassando i toni anche lei.
< Per non disturbare la concentrazione della preghiera >.
< Perché, stanno pregando? Non me n’ero accorta > fece Mimma.
< Stiamo tutti pregando > puntualizzò Ciccino < perché stiamo amando insieme, ma voi cosa pensavate che fosse pregare, ripetere distrattamente
formule a memoria? >.
< Quante cose ci insegni > dissero Mimma e Cristina in coro.
Lei era una ragazza di bellezza mai vista né immaginata, alta e fulgida, con le trecce bionde attorcigliate intorno alla testa com’è d’uso questa estate sulla terra e le sue parole sembravano sussurri penetranti.
Diceva: < L’amore è oltre la passione fino a considerare egoistica la propria stessa felicità e a rinnegarsi per l’amato.
Pensate al volo della gallina in confronto a quello dell’aquila.
L’amore gode della felicità dell’altro e, in particolare, della felicità dell’altro per causa propria.
E’ nella natura di ogni vera poesia dare felicità dolorosa, amorosa e giocosa e moltiplicarla nei secoli. Pensate ai grandi poeti o comunque artisti creativi.
Voi ricevete questo dono fin dalla terra, non si può andare superbi di un dono né invidiare il dono altrui: chi soggiace a queste tentazioni non entra nel paradiso dell’amore serafico, dove tutto è poesia perché la poesia è amore.
Avete visto che l’inferno è un’illusione di felicità, il purgatorio una presa di coscienza liberatoria, il paradiso è l’amore universale in atto, non il proprio personale giardino, ma un solo giardino di tutti insieme >.
Alla parola giardino l’angiolessa sorrise, poggiò lo sguardo su Cristina e le disse: < So che a te piacciono molto i giardini, piccola ribelle >.
Le due poetesse si commossero tanto che rimasero senza parole, almeno per quel momento.
Passarono nella sesta aula, che aveva i muri e i banchi di luce.
Ormai quell’incandescenza esterna, perfettamente armonizzata all’interiore, non bruciava più, ma dava soltanto delizie.
L’angelo della visione svelata era il più bello di tutti e non soltanto sorrideva: era sorriso.
Una schiera di usignoli in canto faceva il girotondo intorno alla sua aureola e lì dentro Mimma e Cristina videro, con assoluta chiarezza, anche gli angioletti portabandiera dell’arcangelo Francesco Pasticcio: Il maschio si era assunto il ruolo di baritono mentre la femmina cantava da contralto.
Si accorsero di potere distinguere la luce nella luce. Ogni usignolo aveva la sua storia e un canto personale, che le poetesse venivano a conoscere e ad ascoltare in ogni minimo movimento d’amore.
Lo sciame ruotava a tale velocità che talora sembrava immobile perché il punto di partenza e di arrivo coincidevano, allora c’erano gli assolo e nelle pause di silenzio del coro, cantò anche l’usignola stonata, < Sono io, sono io > voleva gridare Mimma, ma dalla bocca non venne fuori voce.
C’era in quell’essere di luce una totale innocenza d’amore, che non escludeva ogni conoscenza e compassione delle miserie terrene. Egli non parlava nemmeno col sussurro, ma per comunicazione telepatica.
Per prima cosa le due poetesse si sentirono accolte ed apprezzate in tutte le loro opere, che furono capite in ogni sia pure minimo aspetto positivo. Ne videro le ripercussioni sui lettori nel passato, presente e futuro, perfino Dante Alighieri aveva letto le poesie di Cristina e la fiaba dell’Usignola stonata di Mimma, entrambe poterono gioirne, ma contemporaneamente videro il valore di tutti gli altri artisti, non solo delle amiche più care, e ne gioirono in modo uguale come per se stesse, non di più né di meno: al massimo della propria capacità.
Sentirono che questo amore era la comunicazione suprema, inferiore soltanto alla visione di Dio in Sé e per Sé.
Seppero anche che, al loro ritorno in terra, avrebbero dimenticato il più ed il meglio dell’esperienza celeste o ciò che rimaneva loro da vivere nel corpo sarebbe stato un rimpianto struggente e insopportabile.
Era richiesto il loro sì ad ogni volontà divina e lo dettero subito entrambe, senza ombra di riserve.
Subito si presentò correndo un bambina di qualche tre anni, bruna coi boccoli come usavano negli anni cinquanta, andò loro festosamente incontro e disse:
< La poesia è anche gioco, per questo sarò io ad accompagnarvi
nel Paradiso profondo >.
< Incontreremo il Padre? >.
< Ma certo, e vi abbraccerà pure >.
< Anche me ? > chiese Cristina con un filo di voce.
La bambina si mise a ridere in modo così buffo che sembrava una cornacchia:
< Hai ancora dei dubbi, piccola ribelle? >.
Il resto del Paradiso è oltre le parole di qualunque lingua antica e nuova.
Domenica Luise
Fine