Stelle


Fanciulla serena

I poeti hanno tutte le stelle del cielo
in una parola
e i miliardi dei miliardi di anni
e di spazi e ogni storia
favola speranza religione o amore
amore, amore. Sono i giocolieri
dell'eternità. Camminano
sugli orli di notte svagatamente
e si alzano a volo sul tetto
di una casa sognata.
 
Sono incompatibili alla morte.
 
Tra quelle mani di piuma
ogni dolore sussulta di primavera
come una violetta nel prato di ortiche.

                                                              Domenica Luise
              (Particolare dell'affresco Le poetesse radiose di Domenica Luise)


 

Pubblicità

La melagrana

 
La melagrana
 

 

Ne mangio i chicchi o il sangue
in prati di papaveri.

E i misteri, sfaccettature
di un’anima infiammata
che s’ appicca e spicca.

Talora la brace
cova sotto la cenere
al soffio
consunta nel midollo, sì
io ne porto l’anello.

Incarnato. Strana ragazza
di passione
imbevuta dell’elisir a vent’anni e un giorno.

Succo
d’amore
schiuso. Tale
è l’innocenza del rubino.

Domenica Luise

(Particolare dell'affresco Le poetesse radiose di Domenica Luise.
Se volete vedere il resto dell'affresco, fate clic in categorie su affresco.)

 

 

 

 

 

La lucerna

 

Poetesse radiose lucerna

 

 

 

 

 

 

Porto la fiaccola dove brucio l’anima
per ancora pochi battiti terrestri
e poi e poi.

L’olio è prestabilito.

 

Il gallo ha cantato. La campana
squarcia il monte e la valle.

Qui
non c’è nessuno
a guardarmi.

Gong. L’eco del gong. Dove vai
e come, aria nell’aria, vestale
non amata.

Dinanzi alla meraviglia
del sempre e dell’oltre
a schiere aperte. Ammiro
l’inimmaginato semplice
e conosco i miei simili. Adesso
l’oro  non ha peso
ed il fuoco è delizia.

 

                                              Domenica Luise

 

 

(Particolare del mio affresco, per vedere le altre immagini
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Sì, la gioia

La ragazza che ride 

E' un frutto maturo
col nocciolo che sboccia battendo
come una bomba a orologeria:
mi sono innamorata
adesso. Ho le mani
piene di colori spremuti e i piedi di danza
e la bocca del canto che tu sai.

 

 


 

La ragazza che ride 2

 

 

 

 
 
 

 

 

E' la festa dell'Etna in eruzione
con tutù di fuoco e lapilli
quando la farfalla gialla sale intatta
svolazzando nei fiori di fichidindia.

 

 

 
 
 

Di nuvole leggere e trombe d'aria
vado, vado,
dove non so. Mi portano parole
smosse, acqua, fuoco e vento,
i buchi neri impetuosamente

attirano le pietre di sale. E squilla
la vita coi girasoli
in vortici, facce di semi e bocche. Oltre.

Strisce di galassie
e di universi degli universi,

abito bianco alla sposa in prisma,
occhio di luce e sorriso.

Silenzio
che grida l'amore.

 

 

                                                              Domenica Luise

 

 

 

(I particolari sono tratti dall' affresco che ho dipinto nel mio ingresso,
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La ragazza con l’uva

La ragazza con l

Fosse stato per loro
avrebbero lasciato disseccare i grappoli
nelle mie mani e spento l’estasi
scrostando i colori dell’affresco.

 

La ragazza con l

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo avrebbero aspirato il mucchietto
di spazzatura col respiro di sollievo, la bara
è uscita su per le scale
fino alla chiesa nell’attimo di sospensione

al vederla, ma non ci vogliono pensare.

 


Il mosto è pronto sulle pareti
graffiate. Da sola
ho creduto in un amore assente.

Domenica Luise

 

(Particolari dell'affresco di Domenica Luise, per vedere
le altre immagini fate clic sulla categoria Affresco)

 

Quante vite ho già vissuto

  Fanciulla serena

 

Fui figlia  in bianco e nero

accanto all’erba

e ai pasticcini degli zii. Studentessa

e sorella, andavamo al cinema

quasi tutte le settimane, dopo

ne parlavamo a tavola: quando lui

e quando lei e poi.

 

Mamma coi capelli bruni tinti

riservatissima

e papà a pitturare paesaggi  chiacchiere

 barzellette  e dolore.

 

I gatti i cani gli uccellini

e il pollaio. I giocattoli

di legno e di latta

e le bambole coi capelli di stoppa, la mia

si chiamava Felicità

o felicità ed era bionda, in abito

da prima Comunione.

 

E’ una poesia prosastica non ermetica

o raffinata proprio come me.

 

Sono io.

 

Vanitosissima. A volo

dalle scale. Gridavo

invece di parlare.

 

Di tutto quello c’è un resto

e nuove gattine, anche gli alunni

e la scuola sono passati. Navigo

su internet ed ho due blog

dove scambio amore.

 

Forse

ho vissuto troppo. Ho dato uno sguardo

nel tunnel.

 

Senza rimpianto.

 

 

Domenica Luise

                                         ( L'immagine è un particolare del mio affresco,
                            cliccate nella categoria " affresco ")

 

 

La poetessa Cenerentola

 

La poetessa Cenerentola

 

C’era una volta la poetessa Cenerentola, che si preparava per andare al ballo e c’era la fata amica, quando l’incantesimo sembrava che potesse riuscire. All’ultimo momento l’abito di Cenerentola si impigliò in un filo d’erba e la fata dovette rammendarlo con punti pazienti e si perdette tempo e la vita passò. Poi la carrozza partì di carriera, ma subito si ruppe una ruota e il cocchiere dovette aggiustarla, nella notte c’era solo la luce della luna fra le nuvole dell’invisibilità e si perdette altro tempo e altra vita passò. Infine apparve il palazzo, la musica romantica e le luci . Il principe, per noia, aveva iniziato a ballare con la sorellastra più grande, Cenerentola varcò la soglia, egli la guardò e vide che aveva un capello fuori posto. Tuttavia lo colpì: alta, delicata, con la gola palpitante di emozione. Anche l’abito strano lo affascinò, da un lato candido come la neve, dall’altro purpureo come il sangue e lungo alle caviglie. Le scarpette infine, una bianca e l’altra rossa, lo lasciarono, ma solo per un attimo, a bocca aperta perché i principi, logicamente, non debbono stupirsi mai di niente o perderebbero la solennità fintamente amichevole che li contraddistingue.

Cenerentola non era scollacciata né ingioiellata né truccata o con la messa in piega fresca di lacca: si era lavata i capelli fiammeggianti  da sola, sotto la fontanella, e li aveva legati con un elastico a coda di cavallo. Sapeva di buono.

   Era stata la fata a regalarle l’abito e le scarpette e a dirle che quello era il modo giusto di presentarsi poiché la sua poesia era fatta di acqua, sangue e fuoco. Sempre la fata le aveva messo il capello fuori posto, convinta che la perfezione assoluta non fosse poetica. Cenerentola, alla fine, aveva chiesto una piccola borsa per il fazzoletto, poiché era un po’ raffreddata e così portava una bustina nera a tracolla, segno che la grande poesia è sempre anche desolata, dentro la fata ci aveva messo di tutto: allitterazioni, trasposizioni, onomatopee e quant’altre figure retoriche si possano immaginare, raccomandandole caldamente di usarle con parsimonia o la sua poesia sarebbe ammuffita. Così la borsettina vibrava per il grande agitarsi di tutte quelle figure retoriche, che volevano uscire per fare, appunto, la loro bella figura.

In fondo al salone facevano tappezzeria le poetesse prescelte gli anni prima, tutte invecchiate, alcune rabbiose, altre mute e rassegnate, occhialute per il continuo scrivere al computer, con la pelle vizza e i capelli diradati, modestamente agghindate perchè facevano la fame. Alcune di loro, le più coraggiose, sorridevano con le bocche tese e chiuse affinché non si vedesse che avevano perduto qualche dente qua e là. A Cenerentola, rossa e balbettante dinanzi al principe, tutte costoro sembrarono immagini sfocate nella nuvola dell’invisibilità e quasi non le vide.

Egli ballò con lei  e la corteggiò un poco per cortesia regale: < Ho letto le tue poesie, sono belle, potresti pubblicarle a tue spese col nome della mia casa editrice. Poiché non sono perfette, le correggerò personalmente, se avrò tempo, altrimenti c’è il mio segretario, che è bravo, egli cambierà gli aggettivi, gli a capo, il pensiero per esigenze redazionali. Se poi neanche il mio segretario avesse tempo, c’è il suo valletto, che si è preso la terza media con le scuole serali e può correggere lui le tue poesie, che sono veramente belle, molto belle. Dopo passerai tu stessa di casa in casa a vendere il libro, in questo modo guadagneremo entrambi, io molto, tu niente, ma non importa, tanto sei una grande poetessa e non lo fai per soldi. Diventerai famosa >.

Il principe giurò con la mano sul cuore, come fanno i principi, e la stringeva un po’ troppo nel ballare perché la fanciulla gli piaceva non poco e stava pensando come togliersi lo sfizio elegantemente.

A mezzanotte, quando la vita era quasi finita perché era passato troppo tempo, la fata tentò il colpo della scarpetta, ma Cenerentola, fuggendo,  vide che l’immensa scalinata del palazzo e i larghissimi sentieri del giardino erano pieni di altre scarpette belle e brutte, di pelle e di plastica, grandi,  piccole, minime, stivaletti chiodati, sandali coi tacchi a spillo, ciabattine raffinate e pantofole scalcagnate anche maleodoranti. Il principe intanto aveva ripreso a ballare con le sorellastre, prima con l’una e poi con l’altra, perché avevano i soldi per pubblicare le proprie poesie copiate un pezzetto di qua e un pezzetto di là, sgangherate, lunghe e ripetitive, perfino sgrammaticate e coi congiuntivi sbagliati. E non vedevano l’ora di diventare famose vendendo il libro di casa in casa. Cenerentola fuggì e subito le scappò dal piede una scarpetta, quella bianca della poesia innocente. Avrebbe voluto fermarsi a raccoglierla, per rispetto verso la fata, ma poiché egli l’inseguiva con una schiera di guardie del corpo, continuò a correre saltellando, così perse anche la seconda scarpetta, quella purpurea della poesia insanguinata.

L’elastico che reggeva la coda di cavallo si spezzò ed i suoi capelli sembrarono una lunga fiammata nel vento della corsa, erano il fuoco della poesia, ma non poté perderlo perché faceva parte di lei.

Stracciata, zoppicante, sudata, affannata e triste, non le parve vero di nascondersi nella sua stanza disadorna, riscaldata da un misero camino, unico conforto esteriore.

Aprì la porta e restò sospesa: c’era un bel fuoco scoppiettante e lì davanti risplendevano le due scarpette smarrite che la fata aveva raccolto, lucidato e restituito alla legittima padrona.

Una gioia senza fine le dilatò il petto. Afferrò la penna e il quaderno ed incominciò a scrivere dal titolo:

La ferita della poesia


Tu sei
una rossa ferita
sul petto dell'anima
e nient'altro.

La breve spiaggia
raccoglie l'oceano
parola al silenzio. Esulto
di te, ho bevuto il tuo vino
e sparso il tuo latte
ai figli
assetati.

Le tenebre risplendono dall’interno
mentre oso balbettarti, giullare
colorato

ingenuo e zoppo,
che ride piangendo
a piedi nudi. Per causa tua
alle pietre
batte uno strano cuore seduttivo.

 

                                     Domenica Luise o Mimma 

(Particolare dell'affresco Le poetesse radiose di Domenica Luise)

 

Colloquio

Le poetesse radiose

Anima o mandorla
dove la buccia è il corpo.

Andare.

Apro gli occhi accecati dall’ombra
alla straordinaria novità.

Ora le mie radici
ecco
vivono di luce. Sottosopra.

Poetesse radiose particolare

 

Quanto amore
dato ricevuto dato

pomata idratante  alle nostre ferite.

La fanciulla con l 

Vengo libera
e rido. Nella zolla insanguinata
lascio la crisalide.

 

Inventate
per causa mia
la danza
della vostra vita
e siate felici.

 

 

                                         Domenica Luise o Mimma

(L’affresco è stato dipinto da Domenica Luise nell’ingresso della propria casa.)