Un amore innocente

Gabbiani

Il vecchio tremolante si sta avviando dal bar al supermercato, dal terzo piano di un casermone a sinistra una voce femminile grida: -Papà!
Il vecchio si blocca subito: -Sì, tesoro?
-Papà, mi serve una bottiglia di acqua frizzante, non farmi scendere solo per una bottiglia di acqua.
-Va bene, tesoro, ti serve altro?
-Visto che ci sei, papà, oggi ho solo formaggio, magari prendi un po’ di prosciutto cotto, quello compatto-, il donnone dice pure la marca e il tipo di confezione, chiede un po’ di mortadella e le pesche gialle pelose. Il vecchio entra al supermercato e fa la spesa con la sua pensione.
Un paio di volte alla settimana incontra certi amici al bar sotto casa e fanno uno scopone senza soldi, si divertono molto e chi perde paga il caffè a tutti, un caffè vero, non lento come quello della figlia. Oggi la vittoria gli costa ventitré euro e il muso dei due nipotini amatissimi appena torna a casa:
-E a noi niente?
Rimedia con cinque euro per uno, la figlia nemmeno gli chiede quanto ha speso. Si lamenta che è troppo tardi per andare a mare e sente caldo, le pesche sono acerbe, il prosciutto è poco, la mortadella è stantia, per l’acqua non dice niente e significa che va bene. Già.
Finalmente fa una doccia rapida ed esce dal bagno in due pezzi, con tutta quella pancia e il petto che scappa. Uno spettacolo:
-E sono già sudata di nuovo.
Si attorciglia intorno alla vita un pareo trasparente multicolore.
Madre e figli fanno il gesto di avviarsi: -Tu non vieni? Mio marito torna stasera, noi mangiamo là un panino, ho fatto anche un’insalata di pomodori, così andiamo leggeri.
-Non mi sento, fa troppo caldo, forse più tardi mi prendo un gelato.
-Per andare coi tuoi amici ti sei sentito-, ritorce subito la figlia. Il vecchio si arrabbia, ma non trova cosa risponderle e si siede davanti alla televisione, gli piace un film del secondo canale perché c’è un buffo cane con gli occhi intelligenti.
Peccato, poteva portare lui l’ombrellone.
Ascolta la porta sbattere, ci sente ancora perfettamente, e i passi, pesante la madre e saltellanti i bambini: scendono le scale perché nemmeno oggi l’ascensore funziona.
Lascia subito il film ed entra nello stanzino dove dorme per guardare liberamente la foto della moglie morta nella cornice buona sul comodino. Accarezza il vetro con le dita e ancora piange dopo nove anni.
Si chiamava Marisa. Non sapeva baciare e la notte del matrimonio fece l’amore per la prima volta e solo con lui a venticinque anni.
In viaggio di nozze indossava un tailleur principe di Galles e una bella borsa verde grande di pelle, aveva perfino la cappelliera e una camicetta di seta impalpabile, verde pure quella, a pallini gialli.
Era biondo naturale e sembrava una svedese.
A quei tempi in chiesa si portavano le maniche al gomito, non come oggi che si sposano scollacciate, stile vedo non vedo.
Marisa, al mare, aveva sempre indossato costumi interi e tutti le sembravano troppo audaci per lei. Gli chiedeva: -Sono indecente?
-Sei bellissima.
E gli diceva sempre: Roberto mio.
Ne ricordò quei dentini quando rideva, ne aveva uno un poco storto sul davanti che gli metteva tenerezza. Aveva chiesto le ricette alla suocera per imparare a cucinargli tutti i suoi piatti preferiti, da allora lui non aveva più assaggiato una pasta con le sarde come si deve e nemmeno quelle ciambelle saporose a colazione, col caffè appena svegli e sempre allegri o subito pronti a fare pace dopo un bisticcio scemo.
I due giovani sposi la sera, prima di addormentarsi, recitavano insieme le preghiere che i bambini imparano quando fanno la prima Comunione.
Marisa, nel corso degli anni, gli aveva dedicato un quaderno di poesie d’amore assolutamente sdolcinate, erano cinquantaquattro come l’età in cui il cancro l’aveva portata via. L’ultima gliel’aveva dettata, occhi negli occhi, sei giorni prima di addormentarsi, si intitolava: Non ti lascio davvero.
Perché non era morta: dormiva.
Egli era acculturato e s’intendeva di poesia, espressioni come “Tu sei il mio cuore” oppure “La mia anima bacia la tua” avrebbero fatto ridere i polli moderni, ma Roberto da subito si commosse per quelle parole ridondanti, fuori tempo e innocenti, dopo la morte di Marisa le imparò a memoria tutte e cinquantaquattro ed ognuna lo trafiggeva, ne ripassava una diversa al giorno e la sera, dopo le preghiere di sempre, la ripeteva a lungo nel pensiero anche se lei non era più lì a tenerlo per mano, poi le ricominciava tutte dall’inizio e godeva di essere stato amato amando fino a tal punto. Ogni parola era vera, anzi inferiore alla realtà. L’amore talora è sdolcinato o dolcissimo, perfino languido. Il respiro del seno di lei sotto quella camicetta di seta verde così sottile e come le batteva il cuore. Per questo non ne parlava mai e teneva nascosto in fondo al comodino il quaderno delle poesie anche perché non si sciupasse oltre, il tempo era passato e i fogli diventavano gialli, i tratti della penna scolorivano, incominciò a ricopiarle tutte in un quaderno nuovo e gli piacque di rispondere a poesia con poesia durante l’insonnia notturna e fu delizioso.

-Vienimi a prendere- sussurra il vecchio. Si sdraia sul letto e finge di morire e di vederla.

Domenica Luise

(Acquerello di Domenica Luise)

 

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I misteri dell’Ermetismo, I surrogati

Sguardo di fanciulla

Sono tutti surrogati che hanno più o meno lo stesso sapore.
Il calcio, lo sport in genere e ogni gara, concorsi poetici compresi, sono tutti surrogati della condivisione dove ognuno dà quello che ha a tutti quelli che lo vogliono e lo possono prendere.
Certo se uno non ha mai letto la Divina Commedia sostenendo che tanto è ateo non si discute l’ignoranza volontaria, che in poesia non è ammessa, né può pretendere di ascoltare gli assunti di Roberto Benigni, magari dal vivo, applaudendo con entusiasmo senza capire nulla quando gli altri applaudono, con lo smartphone sempre in moto e messaggi a dritta e a manca.
Del resto non si può ricevere quello per cui non si ha la capienza essendo spesso anche già pieni di vanità, opinioni a priori e talora vere stupidità.
Condivisione del sè significa che ci si regala senza invidia del dono altrui, anche riconoscendolo superiore al proprio, e senza rubarsi le idee a vicenda, come quando in un braciere i carboni accesi si infiammano disfacendosi ed entrando gli uni negli altri con calore e gioia alla maniera trinitaria: il Padre ama il Figlio con viscere di maternità, il Figlio ama il Padre con viscere di filialità che gli si affida, lo Spirito Santo è l’amore totale, massimo ed eterno, un entrare il Padre nel Figlio e il Figlio nel Padre per essere UNO sempre rimanendo tre Persone distinte.
In questa maternità e filialità infinite l’essere umano creato è desiderato, accolto e amato come figlio mentre la maternità e filialità di amore trinitario include anche, e simultaneamente, la fratellanza e la nuzialità dell’amore per cui siamo tutti figli del Padre, fratelli, sposi perché uniti e amici di Gesù e fra di noi. Tutto il resto è un surrogato che simboleggia in piccolo ed imperfetto l’eden scritto nel cuore umano e mai dimenticato.
I vari facebook e twitter sono surrogati. Ogni amore e bellezza terrena sono surrogati. La poesia terrena è il surrogato della felicità ignota che percepiamo dentro di noi, forse per questo è così irraggiungibile: perché la parola con cui la balbettiamo è il surrogato di un sentimento troppo alto, storico, profondo, doloroso, amoroso e giocoso.

Domenica Luise

(Acquerello di Domenica Luise)

Mimmuccia a tre anni

Da bambina ero graziosissima, avevo scoperto che i grandi si preoccupavano molto quando mi vedevano imbronciata e così stavo sempre con la fronte aggrottata e le labbra all’ingiù, come si può ammirare nella prima immagine, che è un acquerello a china eseguito da papà Espedito su carta rosa. Invece la seconda è una fotografia. Quella mattina zia Maria mi pettinò i boccoli bagnandoli col limone e arrotolandoli, bisognava che reggessero per il tempo di scendere le scale e arrivare dal fotografo, il cui negozio stava di sotto, scattare la foto e poi sarebbero ricaduti e tornati lisci come sempre. Io odiavo i capelli lisci.
Quel sant’uomo mi sollevò in braccio come una piuma, mi piazzò sulla sedia fratino che serviva all’uopo e, poiché stavo tutta imbronciata nell’atteggiamento solito, mi ordinò: <Sorridi!>.
Messa in soggezione sorrisi ed egli, prontissimo, scattò.
Oggigiorno le modelle camminano nelle sfilate proprio come me  a tre anni, che sembravo tutta incazzata e sdegnosa. Sono stata un’antesignana dell’ultima moda.
Il vestitino di maglia ricamato era opera di zia Maria. Tutti i fiorellini erano di colori diversi a seconda dei rimasugli di lana disponibili, ma la fotografia era colorata a mano e così i fiorellini si vedevano in bianco e nero. Strillai come un’aquila e papà, coi colori a olio, li dipinse ad uno ad uno. Allora io andai a prendere il vestito, che tenevo sotto il mio letto di bambina in una scatola di cartone, e protestai perché i colori di papà erano diversi dai colori del vestito, lui si arrabbiò ed io tacqui: la lotta maschio femmina iniziava.

Domenica Luise

E per concludere vi pubblico la foto per intero, così potrete ammirare il lavoro del mio papà su tutti quei fiorellini.

Invece così

quanta bellezza o poesia
che avanza e nessuno se ne accorge
o così pochi da dirsi nessuno. Allora
io guardo l’erba
e vado ad allargare.

Chi ha orecchi per intendere intenda.

 E chi ha occhi guardi. Toccate
quei petali con due giorni di vita
e dopo ancora, dalla morte
al sole.

                                                           Domenica Luise

(Acquerello di Domenica Luise)

A Gesù

Pietà verde e viola


Nel momento della mia massima infelicità
tu sempre mi hai resa felice
come hai fatto non so.

Sto giungendo alla soglia nuziale
sono tranquillissima
come faccio non so. Stupisco
di te e di me.

C’è una realtà
ben oltre l’amore dolore gioco
della poesia che sempre mi soffia negli orecchi
negli occhi e nelle mani
con parole ferite
e rifiorenti.

Adesso ho una casa arcobaleno
con due stanzette, una nera
e l’altra bianca
dove riposo. Ma i muri divisori
scompaiono silenziosamente.

                                                         Domenica Luise
                                                        (Acquerello di Domenica Luise)

Natale ora

S. Famiglia acquerello

Oh, la paglia sulla quale sei nato, così simile
al mio cuore secco disidratato, imbottitura
povera.
 
Prendimi per seno di mamma e che io
divenga tuo tepore
senza stonature. La notte
raccoglie sempre più silenzio.

Tu sai.
 
La vita ha sciupato il nostro amore innocente
sbattuto di qua e di là, adesso
vagisco e ti chiamo
perché ho fame sete e sonno
d’anima.
 
I termosifoni non possono sostituire
il fiato dell’asino e del bue.
 
Attizza la mia vita e che io entri
buona, nella grotta dei tuoi segreti. Qui
insieme agli altri pastori
di tutte le razze e le religioni
preparo il pane.
 
Noi osiamo guardare il tuo sguardo
come gli innamorati.
 
                                                   Domenica Luise
 

                                                               (Acquerello di Domenica Luise)
 

Madre e figlio (pensiero mimmiano n° 13)


Maternità
L’amore è sempre materno perché contiene l’altro
e filiale perché gli si abbandona.

                                                         Domenica Luise

                                                                        ( Acquerello di Domenica Luise )
 

Grande Madre

Macchia di Madonna con Bambino

 
Poggio le mani sui tuoi fianchi, nido ai morti
grondanti fiori. Io ti accarezzo nelle ferite
fonti di fiumi che dissetano. Terra
dalla terra e nella terra, erba
figlia vagito profumi e colori. Sono
dinanzi a te, o generazione
e bacio. Con le mie radici minime
toccherei il tuo cuore di magma
a nutrirmene in pensieri.
 
Irraggiungibile centro della vita
e universo interno.
 

                                              Domenica Luise
                                                                                        (Acquerello di Domenica Luise)

 

Guizzi

La morte del cigno
 
La vecchia ragazza
ha dipinto la vita
che la trafiggeva
in dolore d’amore. Così
compio la morte del cigno.
 
Una bandiera squillante.
 
Ho celebrato la poesia nel santuario
con poche signore ai primi banchi. Ed esalavo
incenso ai miei segreti.
 
Per quanto silenzio ho sventolato.
 
Balbettai folgori
incomprensibili a me stessa
talora, e senza finire
il sussurro.

Forse
non traducibile.
 

                                                                Domenica Luise
                                                                   
(acquerello di Domenica Luise)
 

Inferno o resurrezione (pensiero mimmiano n° 7)

Cristo multicolore

Il dolore provoca due effetti collaterali:
o resta dolore e stronca
oppure si trasforma in amore e fa crescere.
Frutto acerbo e frutto maturo.

                                                    Domenica Luise

 
                                                          (Acquerello di Domenica Luise)