Morte e Vita erano sorelle, anche se di opinioni diametralmente opposte.
Passavano il tempo duellando l’una con la falce e l’altra con un fiore di
qualunque tipo. Pare impossibile che Morte dovesse fare tanta fatica per
troncarlo, ma il problema era che quel fiore si moltiplicava subito.
Si arrabbiava poi moltissimo quando Vita glielo scuoteva sul teschio, specialmente le davano fastidio i gelsomini, che le cadevano tutti nelle orbite.
Affannata per l’ennesimo colpo andato a vuoto, la Morte si distrasse pensando
che doveva affilare la falce ed in quell’attimo un uomo che veniva al mondo,
uno solo nel tempo e nella storia, visse senza mai conoscere malattia fisica
né sofferenza dell’anima. Tutto gli andò bene fin dalla culla. Il giorno stesso
del parto suo padre, un povero disoccupato, vinse al totocalcio. Fu così che
gli comprarono il corredino e lo chiamarono Fortunello.
Fu subito evidente, tuttavia, che portava fortuna soltanto a se stesso.
Non avendo mai provato dolore di alcun genere, non capiva gli altri e pensava
che facessero “ smorfie per mettersi al centro dell’attenzione “, come spesso ripeteva senza peli sulla lingua. Sua madre, per esempio, aveva sempre mal
di pancia e pesantezza alle gambe con le vene varicose; suo padre,
al tempo della fioritura delle fave, pigliava il raffreddore allergico
tutti gli anni; la sorella maggiore, ogni poco, aveva dolore al fianco destro;
il più piccolino, di tre mesi, era delicato di stomaco, rigurgitava il latte
e puzzava sempre di acido e di borotalco. Che schifo. Perfino il nonno
sosteneva che non ci vedeva per le cataratte.
Fortunello non nascondeva il proprio disgusto né l’incredulità. Aveva notato
che anche il resto degli esseri umani si lamentava sempre come quelli della sua famiglia. Doveva essere un rituale. Quanto a lui, crepava di salute ed era bello
da togliere il fiato. A venti anni si sposò con una ragazza rubiconda, dopo una scelta selezionatissima per cercarsi la più robusta. Restò molto sorpreso che
anche lei strillasse per partorire come tutte le altre e, per castigarla, non le
portò neanche un fiore raccolto sulle siepi di pitosforo del giardino pubblico
dove era andato a smaltire la rabbia perché gli era nata una femmina invece
del maschio. L’anno seguente altra femmina, due anni dopo tris. Quattro
femmine in casa, moglie compresa, tutte che si ammalavano scrupolosamente.
<Ne hanno preso da te > diceva alla moglie.
< Sei tu anormale > ritorceva lei. Il che era vero, ma Fortunello non se ne
rendeva conto.
A quarant’anni era asciutto, sodo e senza una ruga. Tutte si innamoravano di lui.
Era diventato segretario di fiducia del dirigente.
La moglie e le figlie invecchiarono, Fortunello no. Era diventato dirigente.
A ottant’anni saliva e, soprattutto, scendeva gli scalini a tre a tre. Dopo
essere diventato dirigente dei dirigenti, con rammarico, l’avevano dovuto
mettere in pensione per raggiunti e sorpassati limiti d’età.
La moglie morì e lui non sparse una lacrima. Non era colpa sua, non sapeva
come si fa.
Le figlie avevano tutti i capelli bianchi, lui no. A cent’anni si divertiva a farsi cinque chilometri di footing al giorno per le campagne, naturalmente cinque ad andare e cinque a venire.
Le figlie si ammalarono e morirono, lui non sparse una lacrima neanche stavolta, né si sentì solo né niente.
La Morte, quando liquidò la figlia più piccola, casualmente si accorse di quel
baldo giovine, che stava distratto al funerale e sembrava tanto annoiato.
< Ma quello chi è? > chiese alla Vita.
< E’ il padre > rispose Vita.
Morte si infuriò : < E quanti anni ha? >
< Cento e due > ammiccò Vita, contentissima per avergliela fatta.
< Perché non sono stata avvertita > gridò Morte, diede un gran colpo di falce
e Fortunello subito si ammalò.
<Ora capisco, ora capisco > diceva a tutti con gli occhi bagnati di lacrime e un filo di voce.
< Poverino, vaneggia > mormorava la gente, < a quell’età > .
< Così, da un giorno all’altro… >
< Siamo tutti sotto lo stesso cielo >.
< Ma almeno si è confessato? >
< Certo, con grande pentimento > .
Fortunello giaceva semimorto, in attesa della falciata finale. Le lacrime continuavano a scorrere nel suo viso ancora senza rughe, soltanto un po’ più pallido del normale.
< Ora capisco, ora capisco…>
Chiuse gli occhi e sentì, finalmente, la compassione per tutti quelli che
soffrivano come lui, ripensò, in un attimo, ai suoi genitori, ai fratelli, al nonno
con le cataratte, a sua moglie e alle figlie. Sembrava che il petto gli
scoppiasse d’amore.
< Ora capisco, ora capisco > mormorò, < ora sono felice > .
Domenica Luise