Chissà quanto sarebbe orgoglioso il mio fantasma se, fra qualche anno, un mio ex allievo-a facesse per me quello che Abele Longo ha compiuto per don Tonino Bello, suo professore al liceo, autore di "La carezza di Dio – Lettera a Giuseppe (Edizioni La Meridiana, Molfetta 1997).
Abele ha voluto, organizzato e dato alle stampe La versione di Giuseppe, poeti per don Tonino Bello, un prezioso libro dove ventuno poeti di oggi, ispirati dalle sue parole, esprimono liberamente il proprio sentire per ricordare una tale persona.
In sostanza don Tonino si servì della fantasia e della poesia per un suo discorso sulla caduta dei valori che doveva tenere ad un convegno giovanile ad Assisi nel 1987: era un sacerdote intelligente e non voleva tediarli con le solite prediche esortatorie bacchettone, sicché immaginò di farsi una chiacchierata nella bottega col falegname Giuseppe, concludendo che l'avidità del consumismo avviene perché manca la "carezza", ossia l'affetto, la condivisione, la tenerezza vicendevole e la compassione.
E proprio da qui ha inizio la poesia di Fernanda Ferraresso, la prima poetessa della raccolta, che di sé scrive:
"…Mi impegno a studiare, ma soprattutto a vivere, con la consapevolezza che mai nulla è dato definitivamente e mai nulla è scontato".
Me ne sto all'ultima fila
Me ne sto all'ultima fila, poco prima dell'uscita. Un foglio piegato in mano e ascolto.
– Ma se oggi qui da noi
le botteghe artigiane sono pressoché sparite non è solo
perché non si genera più e neppure perché non si ripara più nulla.
È perché non c'è più tempo per la carezza".
Mi venisti incontro così
pensai. Ma non eri tu.
La tua voce si era fatta larga e vicinanza
per questo interrogavo le parole per toccare
di te il corpo di creta.
Il pellegrino l'errante aveva già spalancato il legno
la porta si era fatta cardine in un segno
miracolo d'essere qui senza salvare
il corpo già grembo nel grembo da tempo
un'alta misura dello scorrere
la sapienza dei gesti
come la prima volta
versati
la primitiva forma della linfa
che ancora ci soccorre.
Fernanda Ferraresso
Cara Fernanda, se permetti voglio commentare la tua poesia come se stavolta fossi io a scrivere una lettera a te. Ti dirò cosa mi riecheggia dentro alla lettura, con semplicità e un po' di coraggio: se sbaglio l'interpretazione mi scuserai fraternamente.
Te ne stai in fondo, ma non perché tu sia l'ultima, ti senti quasi sommersa da quello che leggi, ascolti e senti e ti sembra di avere bisogno di prendere fiato. Tieni in mano la lettera di don Tonino.
Le parole scritte in corsivo sono sue: siamo così disumani perché manca "la carezza".
Hai notato quant'è difficile dire ti amo e dare un sorriso vero?
Così ti venne incontro don Tonino: bellissimo il passato remoto, che pone l'evento in un passato da eden.
Ma non era soltanto una persona in carne, ossa e anima, egli si era dilatato misteriosamente entrando nell'eterno. Eppure la sua voce, oltre che larga, era anche vicinanza. Ti rimbombava dentro e svegliava radici di bene.
Fernanda, tu interrogavi le sue parole tentando di capire quello che è troppo grande, adesso, per essere contenuto in una mente ancora legata alla sua carne. Il corpo di creta, grembo nel grembo: le parole vogliono esprimere l'inesprimibile che si è allargato da don Tonino Bello ai tuoi aneliti, e ti viene spontaneo dire "grembo nel grembo", che significa questo essere tutti noi madri gli uni degli altri, uomini e donne, bellissimo punto pregnante della poesia, per me.
I verbi sottintesi e la mancanza della punteggiatura accentuano il mistero nel quale entri in oscurità.
La sapienza dei gesti del falegname Giuseppe sono uguali alla sapienza dei gesti del professore don Tonino Bello e anche alla sapienza della tua poesia: sono amore fraterno.
Così vedo uguaglianza di "sapienza" dei gesti nel libro voluto da Abele ed anche in questo mio maldestro, ma sincero, tentativo di commento.
Per "sapienza", letteralmente, s'intende il salare, dare gusto e condire le vivande nelle quali ci si disperde: è compito dei santi e dei poeti.
È questa "sapienza la primitiva forma della linfa che ancora ci soccorre": primitiva perché originaria; forma perché l'amore è talmente riconoscibile, quando c'è, da diventare tangibile, linfa perché questa sapienza è l'unica che ci possa nutrire e dissetare.
È qui il soccorso che ci guarisce da ogni avidità.
Ti abbraccio e ti mando una carezza.
Domenica Luise
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