Gli arcangeli, tutti lo sanno, hanno diritto a due angeli portabandiera che ne annuncino il passaggio, ma Francesco Pasticcio, quando vide apparire quei mastodonti in ginocchio davanti a lui, si mise a ridere tanto che quelli rialzarono lo sguardo celeste e rimasero a bocca aperta.
< Via, ragazzi > disse Ciccino, < mandatemi due angioletti di tre anni, con bandierine giocattolo, un maschio e una femmina affinché si veda subito che sono per la parità dei sessi. Voi due, piuttosto, andate a divertirvi >.
Il che significava “ andate a pregare “ poiché la preghiera è il divertimento del Paradiso.
Con questa compagnia al seguito, si presentò davanti al Padre, che l’aveva chiamato, in tuta da lavoro celeste e scarpe da tennis. I bambini scapparono subito a sedersi su una gamba del Padre e Ciccino restò un po’ male perché quello era il suo posto, < Che fai, Ciccino, ti rammarichi ? > gli disse il Padre guardandolo così spiritosamente e con aria di monello che l’arcangelo si mise a ridere, < Salta su pure tu >, il Padre fece la rima e si baciarono ed abbracciarono quanto vollero, < Che gioia, che gioia > mormorava il vecchio gesuita e teologo, che nella sua vita terrena aveva avuto del Paradiso tutt’altra idea.
< Ciccino, ti debbo affidare una miss a cui salvare la vita > esordì il Padre con atteggiamento divenuto improvvisamente serio.
Era stata eletta miss Rometta Marea ( provincia di Messina ) per la calda bellezza bruna dei suoi occhi, le lunghe gambe, il culetto pimpante e le mammelle piccole e sode come un’arancia divisa a metà ed appiccicata sull’eburneo torace. Per correttezza stilistica non descrivo a pieno i fianchi voluttuosi, la vita, come suol dirsi, di vespa ed il pancino al vento decorato da un ombelico delicato, ecco, questo è l’attributo giusto, ma così delicato che neanche ad una mente prolifica come la mia viene un paragone paragonabile.
Le dettero la coroncina d’argento dorato con zirconi lampeggianti, un assegno da cinquecento euro, una coppa di acciaio inox montata su un cubo di vero marmo rosa variegato, fu molto fotografata e proposta per partecipare al concorso di miss Messina.
Per la prima settimana tutto andò bene perché la cosa era nuova e le novità sembrano più belle, specialmente prima di viverle. All’ottavo giorno, tuttavia, la bella si era annoiata. A casa sua c’era stata una processione di amiche osannanti, nemiche invidiose e, molto spesso, le une e le altre identificate nelle stesse persone, anzi quasi sempre. Venivano accompagnate dai fratelli o dai padri curiosi e invasivi, le madri no, mandavano a dire che dovevano cucinare e fare i servizi domestici oppure assistere la vecchia zia morente di embolia polmonare massiva bilaterale, che era stata ricoverata al reparto di rianimazione del policlinico di Messina.
La bella dapprima sbadigliò mettendosi educatamente la mano davanti alla bocca, ma ben presto sbadigliò come le veniva, facendo versacci che sembravano ragli, tanto nessuno la vedeva perché si era chiusa nel bagno, unico posto della casa fornito di chiave, dove si potesse godere un minimo di intimità.
D’un tratto, fra la mezza vasca da bagno e il bidet, comparve una lucina, che ingrandì, intensificò e prese forma l’angelo Francesco Pasticcio, con tunica di seta celeste a manica larga e taglio svasato, ali bianche di colomba ed aureola. Accanto a lui, il maschio a sinistra e la femmina a destra, apparvero anche i due angioletti portabandiera, che ne annunciarono il nome e cognome e scoppiarono a ridere perché, così in bella copia, lui era proprio buffo. Un’occhiataccia del suddetto li fece smettere subito e gli si inchinarono davanti chiamandolo eccellenza, che è il titolo ufficiale degli arcangeli.
La bella, emozionata da una simile scena, cadde in ginocchio accanto al lavandino. L’angelo sorrise muovendo i piedini nudi ( ed erano due conchiglie, due boccioli di rosa! ) sul tappeto di spugna scolorita che c’era per terra e la bella aprì la bocca stupefatta.
< Non mi sembri felice > entrò lui subito in argomento, < ti vedo sbadigliare, ti sei stancata di fare la miss Rometta Marea? Posso realizzare un tuo desiderio >.
< Mi piacerebbe diventare miss Italia > rispose la bella a precipizio. Detto fatto. Si trovò al centro di un immenso teatro, stipata fra ragazze belle più o meno come lei, tutte erano attorniate da uomini, specialmente vecchi bavosi mugolanti esperti in materia, che applaudivano con entusiasmo e c’erano pure parecchie donne che battevano le mani mollemente sorridendo con le lacrime agli occhi dall’emozione, o almeno così pareva. Intorno al suo collo c’era una gran fascia dorata con sopra scritto miss Italia, sul capo una corona d’oro con gemme e perle forse vere o almeno coltivate, lo scettro in una mano e, nell’altra, un assegno con tanti zeri che perse il conto e si mise a piangere scioccamente e la corona le cadeva una volta di qua e una volta di là mentre gli uomini l’abbracciavano per consolarla ed alle donne, esclusa sua madre, scappava da ridere nel vederla così imbranata.
Dopo i primi cinque giorni la bella si rimise a sbadigliare. Stavolta abitava in un grand hotel di Milano, immerso nella nebbia dalle fondamenta alle terrazze, dentro i termosifoni, ai quali non era abituata, surriscaldavano l’aria. Un tale con la faccia di ranocchio in amore le suggeriva tutto quello che doveva fare e dire per raggiungere la gloria e diventare una star. Intanto lei aveva litigato con la mamma, scandalizzata dalle minigonne con le quali andava su e giù per l’albergo, e con la sorella, che le chiese in prestito i soldi dell’assegno o almeno un piccolo regalo, e col padre, che non aveva mai approvato, come affermò, quella squallida avventura.
Stavolta l’angelo prese forma accanto a un quadro antico della hall, dove era raffigurata la casta Susanna e i due vecchioni sullo sfondo. La bella vide dapprima una grossa farfalla bianca rifinita di celeste con due farfalline che le giravano vorticosamente intorno e dopo un poco di girandole colorate qua e là, apparvero Francesco Pasticcio, stavolta in doppio petto a strisce tipo galeotto bianche e azzurre ed ali spennacchiate, insieme ai due angioletti che suonavano energicamente un tamburello per uno andando fuori tempo e facendo un gran chiasso. La bella si tappò le orecchie dicendo: < Basta, basta, non ne posso più >.
< Non sei felice nemmeno così > attaccò l’angelo, < anche stavolta posso esaudire un tuo desiderio >.
Poggiò un attimo la sua mano di luce sul braccio della bella, che provò una sorta di pace suprema assolutamente deliziosa.
< Nessuno mi vuole bene > disse lei appena ritrovò la forza di parlare, < fai in modo che tutti mi amino >.
< Va bene > Francesco Pasticcio si diede una grattatina sulla nuca pelata e la visione svanì senza lasciare traccia. Subito una folla di ammiratori, maschi e femmine di tutte le età, circondò la poltrona dove la bella stava accasciata, la sollevarono di peso e la portarono in trionfo tutta la notte per le vie della città, nella nebbia e nel freddo, scandendo a lungo il suo nome, una cosa assolutamente seccante per non dire insopportabile. Alla fine un baldo giovine la prese sul proprio cavallo bianco, pardon, sul proprio motorino scoppiettante e, pregato da lei che la salvasse, la riportò all’albergo da dove non volle saperne di andarsene prima che la bella accettasse la sua irruente proposta di matrimonio. Appena entrata in camera subito il telefono squillò: erano i genitori e la sorella pentiti, non potevano vivere senza di lei, gridarono convinti, stavano per saltare sul primo aereo e raggiungerla. Finanche la domestica, che chiamò per avere una premuta d’arancia, le confessò una profonda ammirazione e tutta piegata, quasi genuflessa, le chiese se potesse farle la dama di compagnia.
Quando arrivò nel letto era mattina, staccò il telefono e vide la solita luce che cresceva, si sentirono movimenti rapidissimi, vorticarono arcobaleni a scintille tutt’intorno ed apparvero una colomba bianca con il becco, gli occhi e le zampe celesti accompagnata da due colombine piccole, di uguali colori, tutto girò ed ecco Pasticcio coi bambini seduti comodamente sulla mantovana, stavolta lui si lisciava l’ala destra come se fosse un po’ distratto. Indossava un abito celeste a lustrini, il cappello a cilindro ed era più buffo che mai, anche se in quel momento la bella non aveva nessuna voglia di ridere. Gli angioletti agitavano una bandierina per uno saltando come fanno i bambini quando sono contenti.
< Non voglio più essere amata a questo modo > sbottò la bella con una sorta di disperazione,
< fammi innamorare >.
Egli la guardò, le parve, con pietà e ciò la stupì: < Sia fatto > rispose.
Subito la bella ripensò al ragazzo che aveva lasciato a Rometta Marea per lanciarsi in quel mondo di gloria e vide che non poteva fare a meno di rievocare ogni suo atteggiamento.
La canna da pesca a cui teneva tanto, come andava sott’acqua a raccogliere alghe per lei, tutto quello che gli piaceva, per esempio le cozze crude col limone e l’insalata di pomodori e rucola. Ogni ricordo era una stilettata di fuoco dolcissima e dolorosa al centro del petto. In verità l’aveva amato così poco, adesso si struggeva. Arrivò a un punto che le parve di morire d’amore. Ma ormai era giorno fatto, la parata ricominciava, l’estetista, i capelli, il produttore, lo stilista che voleva farle lanciare il suo ultimo profumo. Non aveva dormito e non poté toccare cibo, i mass media incominciarono a favoleggiare di una sua misteriosa dieta per mantenersi così bella e magra, con le curve giuste. Ebbe un paio di interviste e qualcosa bisognava pur dire. La bella, ferita d’amore, sgrammaticò come poté e tutti la presero in giro. L’angelo non si vide per tutto quel giorno né la notte né poi.
La fanciulla telefonò all’amato bene che, freddo freddo, le rispose di essersi fidanzato ufficialmente con una ragazza senza grilli per la testa.
E l’angelo non veniva più e la miss deperiva, le fecero fare un film abbastanza banale dove recitò senza convinzione, così fu ribattezzata dai giornali “ La bella statuina “ , però subito dopo incominciarono a scrivere che era anoressica, sciupata ed invecchiata.
Dopo almeno tre mesi l’angelo riapparve come niente fosse, aleggiava accanto al lampadario in vetro di murano mentre gli angioletti portabandiera suonavano a più non posso un fischietto per uno roteando vertiginosamente da un capo all’altro della stanza. Francesco Pasticcio portava un mantello di seta celeste e i piedi nudi , venne giù e si mise accovacciato su un cuscino enorme per terra, serio serio, con una ruga al centro della fronte.
< Basta, basta > urlò la bella appena lo vide, < fammi tornare a prima del concorso, non voglio diventare miss Rometta Marea e nemmeno miss Italia né niente. Dammi una vita normale >.
< Ti restituisco la tua vita > rispose l’angelo, anzi sua eccellenza l’arcangelo, ricominciando a sorridere.
Lei, allora, sentì l’odore del suo paese. Passò il pescivendolo, c’era un gran cielo azzurro ed il suo ragazzo la stava supplicando:
< Non partecipare a quello stupido concorso, sposiamoci, piuttosto >.
Allora la sua voce di fanciulla felice trillò nel sole: < Va bene, tesoro >.
E dopo si baciarono e vissero felici a lungo e Francesco Pasticcio non tornò più perché non v’era bisogno di lui.
Domenica Luise
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