
Ognuno ha la sua goccia. Così andiamo
infiniti
ascoltando il brulichio
di vermi e grandi ali
con colori e tutù e dna.
Esistiamo. Pianeti di contrasti
in orbite senza occhi per vedere
sufficientemente
gli strani umori dell’erba
e le galassie di cui siamo il granello. Il giro
di un’armonia che non abbiamo suscitato
in equilibrio nel vuoto
fra altri equilibri e intelligenze
e grosse pietre che si muovono, ciò che sorprende
è l’ordine e come scintillano la notte
lucciole nelle siepi e stelle. La vis a tergo
del sangue nei nostri corpi. Nascono
crescono muoiono nascono.
Domenica Luise
(Elaborazione grafica di Domenica Luise su un proprio disegno)

Scrivo poesie senza perché o così poco
da essere nulla. Polifema con un solo occhio
a lente d’ingrandimento, guardo
e penso. Dentro fuori dentro
il minuetto immobile, passo a due
dove l’altro è amore dolore gioco
che sono io. Saltellante
sulle ferite dei miei piedi di ballerina, quasi
a volo
paroleggiando.
Tutto questo biancore con l’aureo suo centro
da dove mi diparto.
Domenica Luise
(Quadro di Domenica Luise, olio su tela, 70 per 50)

come una chiocciola nella sua casa.
E ridevo e ballavo cantavo. Invece
a bocca chiusa sussurrando zoppa
nascondo la mia mente
nella carta scritta
e la carta scritta nel cassetto
chiuso a chiave e la chiave
sopra sotto o dietro, dove so solo io.
E altri cassetti
dentro le parole e le parole
nei geroglifici.
L’istmo si è rotto
l’uccello è uscito dalla gabbia d’oro
e l’isolotto
è compiuto.
Tutti i fiori
si sono liberati.
Domenica Luise
(Fotomontaggio di Domenica Luise con fotografie di fiori da lei coltivati)
Ormai non sa bene cosa rispondere quando le chiedono come stai, per un po’ diceva: <Sono piena di dolori> oppure <Vivacchio, e tu?> e così l’altro-a la delucidava sui mali propri, della famiglia, degli amici, dei paesani e del mondo.
Allora incominciò a dire :<Benino, grazie>, sperando di chiuderla lì, ma era talmente in contrasto con l’aspetto sbattuto e trascurato che aveva da non potersi sostenere, l’altro-a incominciava coi buoni consigli non richiesti: perché non vai dal parrucchiere, la dieta, le medicine sconsigliabili, tesoro mio (con tono pietoso) e alla fine comunque approdava sempre sullo stesso discorso: i mali propri, della famiglia, degli amici, dei paesani e del mondo.
Ha sempre avuto questa passione di scrivere, era successo da piccina, quando tutti sbalordivano sentendole declamare poesiole alla mamma, papà, sorella, zia Concettina, zio Peppino, zia Maria, onomastici, compleanni, matrimoni, battesimi, esclusi soltanto i funerali. Allora ebbe la gloria. Ai suoi tempi non era tanto facile prendere l’esame di maturità con sette in italiano, la situazione era ben diversa dai dieci che fioccano oggi. Si sa, i valori cambiano e gli allievi hanno altre cose a cui pensare, anche i professori sono diversi. Così lei decise che, se le avessero confermato il sette di ammissione, avrebbe fatto la scrittrice. Purtroppo lo confermarono.
Non fu molto fortunata. Quando a ventitré anni pubblicò il primo racconto su una rivista femminile, superbamente illustrato a colori, con tanti complimenti sviscerati del giornale e dieci copie omaggio, ma senza alcun compenso in vile denaro, si sentì la donna più felice del mondo malgrado il poco entusiasmo mostrato dalla madre, il disinteresse del padre e i vari zii e zie che non capivano niente né sapevano quanti rifiuti avessero preceduto quella pubblicazione. Una volta lesse un suo racconto alla zia Concettina, che si addormentò. Un’altra volta ne lesse uno alla zia Maria, che si addormentò, e furono le uniche due volte nella vita che chiese alle zie di ascoltare un proprio racconto.
Dopo due mesi, quando stava per uscire la sua seconda novella e la terza era stata accettata, una buona amica la guardò storto e le disse: <Esistono anche gli altri>. Significava tirati indietro, presuntuosa. Si trovavano a Messina, nella povera stanza da pranzo con buffet e controbuffet anni trenta dei suoi genitori. Unica cosa bella, al centro del tavolo un superbo piatto d’argento sbalzato, regalo di nozze del compare prediletto per papà e mamma. Poco dopo il giornale, che si chiamava Così, chiuse all’improvviso e la novella pubblicata fu soltanto la prima.
Più avanti vennero due libri di poesie, che l’editore fece rivendere il primo ad un amico dell’autrice, la quale era incapace di fare la commerciante a se stessa, ed il secondo era appena pubblicato quando l’amico morì sicché l’autrice lo ricomprò e lo regalò a chiunque lo prese.
Dopo alcuni anni pubblicò cinque racconti su un’altra rivista, che si chiamava Alba, questi, col loro tempo, pagavano una miseria e mandavano un mare di carte per ogni novella, ma lei era contenta e si sentiva soddisfatta. Poi incominciarono a non risponderle, allora scrisse alla direttrice chiedendo il perché e venne fuori che “la redattrice avrebbe dovuto risponderle”, la signora sembrava furibonda, lei pazientò e spese i soliti soldi alla posta per mandare i successivi plichi raccomandati come sempre, ma non ebbe più alcuna risposta. Successivamente anche questa seconda rivista femminile chiuse.
Seguì il silenzio, alla fine di vicissitudini più o meno banali, a cinquant’anni non fu facile imparare ad usare il computer, ma tale fu l’entusiasmo che adesso lei ci fa di tutto: programmi di grafica, fotografia, arte, impagina i propri libri e, soprattutto, si cura di un blog di prosa, poesia e critica poetica.
Ci tiene molto ed è un blog originale dove nulla è rubato o scopiazzato. Pensava che i conoscenti di una vita l’avrebbero sostenuta e invece no, nessuno. Così va avanti da sola, come sempre, seguita soltanto da alcuni pochi amici virtuali, con cui scambia i commenti.
L’altro ieri ha pubblicato un racconto divertente e ha invitato la sorella e i due nipoti a leggerlo. Sono tutti e quattro davanti al computer, con gli occhi puntati sullo schermo, quando i ragazzi e la sorella incominciano a piangere a calde lacrime tutti e tre con una strana irritazione agli occhi. E meno male che non si sono pure addormentati.
Lei ha due amiche del cuore principali, una virtuale a Roma e l’altra reale al paese dove vive, qualche giorno fa questa seconda è passata a trovarla, si è seduta sul divano e le ha detto di punto in bianco: <La poesia moderna non mi piace, cosa ti devo scrivere nel blog, che non mi piace? Preferisco non commentarti>.
Così adesso lei mi ha detto ridendo che, se vogliono sapere come sta oppure cosa pensa, possono andare a interpretarselo sul blog dalle poesie.
Domenica Luise

Una ballerina di notte sulle punte
sulla punta del tetto
ed è gioia che rischia se stessa
in tulle e gardenie. D’estate
mi profumano la casa di bianco
danza immobile. Sei bella
fanciulla di venti anni e un giorno
che sali sposa. È avvenuto
spontaneamente
il lifting dell’anima profonda, da concime
a fiore. Ti tengo sul petto.
Ma…
La parola si trasforma in bacio.
Ecco.
Alla vita. Al cielo, all’universo
senza porte da aprire. Libera
finalmente.
Domenica Luise
(Disegno a matita di Domenica Luise)