Esiste

 

l’amore in oceani
di tristezze
e scogli senz’alghe.

 Pulito. Ridente, generoso, abbiamo pianto
le lacrime di Alice
nel paese delle non meraviglie
pur di averlo, scorre nel muscolo cardiaco
e va e viene dalle unghie al cervello
in riversamento.

 Stupite fontane di non pietra
regaliamo l’acqua dolce in parole
mosse da silenzi senza fondo, oscurità
che genera.

Domenica Luise

(Rielaborazione grafica di Domenica Luise sulla fotografia di una propria terracotta dipinta)

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L’avvoltoia bugiarda

Una volta l’avvoltoia si mascherò da gallina per penetrare nel pollaio. Era una ragazza nullatenente e nullafacente. In barba alle tradizioni avvoltoiesche, da quando aveva avuto l’età di ragione, si era allontanata dalla famiglia iperprotettiva per vivere in un gruppo promiscuo di giovani senza futuro né presente. Alcuni di loro, addirittura, non avevano nemmeno un passato. Si nutrivano di cadaveri ed erano molto aggressivi. Avvoltoia non conosceva la pietà né il senso del bello né il perdono dato o anche ricevuto e nemmeno il galateo. Sapeva solo la fame. Nella gerarchia del suo gruppo era l’ultima, di conseguenza gli altri le lasciavano ogni volta ossa spolpate. Non ne poteva più.
Ci volle una bella pazienza per trovare le penne giuste in giro, nelle pattumiere che esalavano (per lei) tanti profumini deliziosi. Non sempre era fortunata ed impiegò un anno di ricerche, alla fine ebbe le penne, ma non sapeva come attaccarsele.
Provò con la saliva, però cadevano subito. Pensa e ripensa, si servì della resina di pino, che era un mastice naturale a buon mercato. Si guardò allo specchio e vide che era una grossa gallina senza cresta. Provvide appiccicandosi un geranio rosso e si riguardò sorridendo ed ammiccando a se stessa con atteggiamenti gallineschi.
Adesso bisognava trovare una vittima. Il gallo no, era troppo giovane e pimpante. Occorreva una gallina vecchia, grassa e bisognosa di conforto, con casa, pensione e manica larga nel dare. Prima l’avrebbe sfruttata e dopo mangiata.
Il gallo, appena la vide camminare a passi felpati, subito la rincorse e voleva pizzicarla, cosa che ad Avvoltoia non avrebbe fatto né caldo né freddo, ma per la paura che le staccasse qualche penna e, soprattutto, le facesse cadere la finta cresta guastandole il maquillage, gli dette una spinta e lo mandò a zampe all’aria con un colpo bene assestato di karate avvoltoiesco. Lui la guardò con gli occhi più tondi del normale per lo stupore e, appena poté rialzarsi, se la filò di carriera.
<Così impari> borbottò Avvoltoia fregandosi soddisfattissima le zampe. Fu allora che sentì una vocina piuttosto querula: <Vieni, vieni cara, nasconditi nella mia casa, così il gallo ti lascerà un poco in pace >.
Era una vecchia gallina da brodo sulla soglia di una deliziosa villetta. Proprio quello che Avvoltoia andava cercando. Si infilò dentro fingendo di tremare.
<E’ un dongiovanni, non la smette mai di rincorrere tutte le pollastre più graziose> disse la gallina aggiustandosi gli occhiali, che sempre le scivolavano sul naso. Aveva i capelli corti, tinti di biondo, e si chiamava Mimì.
Avvoltoia si buttò sul divano, che gemette sotto il suo peso. Era un gran  bel divano, di pelle blu petrolio marezzata, montato su acero. Faceva angolo con una poltrona e in mezzo c’era un tavolinetto dipinto con miniature di fiori su sfondo dello stesso colore del divano e della poltrona. Una cosa di gusto squisito.
<Ho dipinto io quel vecchio tavolino> disse la gallina, <coccodè. Era proprio da buttar via, ma c’ero affezionata, è un cimelio di famiglia. Al mio povero marito piaceva moltissimo. Lui è andato in brodo l’anno scorso. Il giorno di Pasqua abbiamo fatto lutto stretto in sua memoria. Figurati che abbiamo rifiutato il pastone di crusca e non abbiamo deposto uova, ma gli uomini nemmeno se ne sono accorti. Adesso non sono nemmeno passati due mesi e quelle infedeli sono tutte innamorate pazze del gallo nuovo, uno stupido di primo pelo, pure mia nipote Ninetta, che si è sviluppata da poco in petti e coscette e sta sempre a dieta con l’unico scopo di non finire in pentola. Lui nemmeno la guarda, forse perché è talmente magra!>.
Avvoltoia faceva finta di ascoltare con interesse tutte queste chiacchiere. Lodò i quadri che coprivano le pareti, chiese se la gallina avesse fatto delle mostre, <No> rispose lei versando un caffè profumatissimo nelle tazze del servizio buono, <non ho mai voluto commercializzare la mia arte, la considero un dono da regalare a mia volta> e concluse con un paio di perentori Coccodè perché si era scottata. Avvoltoia pensò che era pure cretina come occorreva oltre che bella grassa.
Il divano, in verità, andava stretto all’avvoltoia, che  era molto più grande di una gallina normale, così reputò opportuno di dare delle spiegazioni: <Sono ammalata di gigantismo> mentì spudoratamente, <per questo mamma e papà  mi hanno cacciata di casa>.
Ora la gallina, che era molto religiosa, si era confessata alcuni giorni prima e il prete le aveva dato, per penitenza, di fare un’opera buona. Quale occasione migliore? Asciugò, con la punta delle ali spennacchiate, le finte lacrime dell’avvoltoia e l’invitò a restare in casa sua quanto voleva. Finì che Avvoltoia vuotò il frigorifero e dopo, quando fu sazia fino alla nausea, poiché era tanto grande e sul divano stava scomoda, la vecchia gallina le cedette il proprio letto, e lo fece con gioia, ed andò lei sul divano e sentì un po’ di freddo mentre l’avvoltoia ronfava sotto le coperte di pura lana vergine sognando che la gallina morisse presto presto per restare padrona lì dentro, per quanto anche il letto le stesse un po’ stretto.
Tutta la casa era ingombra di piante, “Quando sarà mia “ pensava Avvoltoia, “ci terrò tante belle ossa insanguinate“ . Soprattutto avrebbe eliminato il poster del gallo ex marito, che stava proprio di fronte al letto, coi lumini accesi: petto in fuori, pancia in dentro, becco sexy socchiuso, cresta all’aria.
Quando l’indomani mattina la gallina bussò con il vassoio della colazione, Avvoltoia dormiva ancora. Il geranio che le faceva da cresta era diventato secco e si vide subito chi c’era sotto.
Zitta zitta , Mimì telefonò alla polizia. Avvoltoia stava sognando di farla fuori a colpi di becco e che la vecchia strillasse, ma era l’ululato delle sirene. Così finì davanti all’ispettore, un tricheco isterico dai lunghi baffi, furente per essere stato svegliato all’alba per causa sua. Egli la condannò a tornare a casa, sotto l’ala ispida di mamma e papà, perché le insegnassero l’educazione. Difatti le bugie hanno il naso lungo, le gambe corte e, le più gravi, anche le braccia rattrappite e le orecchie a sventola; e prima o poi, ma meglio prima, in un modo o nell’altro, vengono sempre fuori.

Domenica Luise

Il contrappasso

Ebbero quell’unica figlia, della quale il marito fu subito geloso. Lisa non si accorse che egli si sentiva trascurato, le pareva normale che vivesse con l’unico pensiero di quell’esserino mite, che non piangeva mai e cresceva sotto peso.
<Vuoi cambiarla tu?> gli chiese una volta allargando il pannolino con la cacca mentre Filippo addentava di gusto pane e pomodoro inzuppato di olio d’oliva extravergine.
<Mi fai vomitare> rispose lui, e scaraventò il panino contro la vetrina buona carica di ninnoli.
L’unico discorso di Lisa era sua figlia, lì cominciava e lì finiva: la bambina, Katiuscia, aspetta che le faccio fare il ruttino, ci vogliono le vitamine, il pediatra, oggi ha pianto due volte>.
<Queste sì che sono notizie> fece lui un’altra volta, ma nemmeno allora lei capì.
Oh, il profumo della piccola dopo il bagnetto e com’era il suo tepore sul seno mentre succhiava e la mordicchiava delicatamente. Non poteva separarsene nemmeno di notte anche se in qualche modo percepiva la scontentezza di lui, che fingeva di dormire stecchito immobile al suo fianco. Pensò che avesse problemi di lavoro dei quali preferiva non parlarle e si mise l’anima in pace.
Quando si erano sposati sua madre vedova gli aveva dato il proprio appartamento e si era arrangiata in una specie di deposito o sottoscala male illuminato  dove passava il tempo cucinando per loro e salendo e scendendo pentole. Prima lui e dopo anche lei si infastidirono di tutta quell’invadenza e alla fine glielo dissero: che tanto andavano al ristorante e non si disturbasse così spesso, piuttosto riposasse che ne aveva bisogno.
La nonna smise e da sotto ascoltava i loro passi e piangeva. La bambina, invece, non piangeva mai. Quelle rare volte che ancora osò salire la rampa di scala per vedere la nipotina, ma anche la figlia per la quale ancora si struggeva, si accorse subito di tutto: la gelosia di lui e che Lisa non le lasciava in braccio la bambina per più di due minuti: <È abituata con me, io so come prenderla, si fa male, no, la cambio io>.
E quando morì la trovarono dopo qualche tre giorni per caso, perché bussarono a chiederle se avesse una spagnoletta rossa e nessuno rispose. Stava nel letto, davanti alla televisione accesa, con uno strano sorriso e ormai le lacrime si erano asciugate.
Così passarono gli anni e la bambina crebbe, si sposò e andò a vivere nel bell’appartamento che era stato della nonna, i genitori nello scantinato. La mattina la madre già bussava con le pentole piene di cibo, intanto il padre stava seduto ai giardini pubblici se c’era buon tempo oppure al bar quando pioveva, qui incontrò altri pensionati come lui e fecero amicizia, così improvvisamente gli parve di rivivere.
<Mamma, non so come dirtelo> si decise alla fine la ragazza, <magari non salire qui proprio ogni giorno con tutta questa roba da mangiare, lui non si sente libero, preferiamo andare al ristorante>.
Allora Lisa si distese sul letto nel sottoscala davanti alla televisione accesa, ormai era arrivato il digitale e l’evoluzione tecnologica.
Già.

Domenica Luise

Le carabattole

Il colino d’alluminio dove la mamma
bolliva il latte che il pastore tutte le mattine
mungeva dalle caprette sulla soglia di casa, le corse
per il corridoio dietro o avanti a mia sorella
fino a quando non ne cascava una, smontavo
tutte le bambole a cui scioglievo
i boccoli di stoppa.

 La televisione, lo sbadiglio
l’insonnia
le ossa dolorose, le mie rughe
che mi guardano dallo specchio, il blog
dell’usignola internet la casa da ristrutturare
profumo di caffè i colori della pittura
e le parole della poesia. I gattini
dietro la finestra del bagno, i fichi
d’agosto e il giardino. C’è sempre
un fantasma con voce di sirena
da qui da lì o da dentro, perché rassegnarsi?

 La mamma non mi rimprovera più
non mi sveglia al mattino non bolle
il latte non lo passa per noi
nel colino d’alluminio ancora appeso sul lavello
della mia cucina e non prepara
le polpette con le patate
né i regali amorosi di compleanno.

 Non mi può consolare oltre. Quanto amore
mio nido seme terra
e sorgente, avevo un canto
così osai gorgheggiare. E ancora dell’opulenza
stringo le carabattole.

Domenica Luise

(Fotografia di Domenica Luise, il colino della mamma sul tavolo della mia cucina, in mezzo ai pennelli, fiori ed altre carabattole).

Se volete sentirmi cantare un pezzetto di quei gorgheggi che ho inventato per la mia favola dell’usignola, fate clic su http://beatiipoeti.blogspot.it/ e dopo sulla stringa nera che appare.

 

Pensieri d’agosto

Si sa, in democrazia lo stato siamo noi. Rabbrividente. Significa che la crisi economica mondiale è in atto per causa mia, nostra, comunque mia, io ho rubato il denaro comune, venduto armi, droga e incitato alla prostituzione. Io ho ridotto la scuola quasi all’analfabetismo. Già.
E ho raccontato favolette per distrarre l’attenzione dai problemi veri senza curarmi che le mentalità deboli  e credulone potessero restarne sconvolte.
Così è arrivato agosto, quando i cretini che hanno lavorato e risparmiato per un anno fanno le loro vacanze mordi e fuggi: di più stavolta non possiamo.
Quale momento migliore, insieme al Natale, per tirare fuori nuove leggi quasi in sordina? Questi si rintronano e nemmeno se ne accorgono, il primo di settembre e il sette gennaio è tutto pronto e scodellato.
Ogni tanto annunciano la fine del mondo, stavolta ci sono perfino autorevoli personaggi antichi che l’hanno prevista con secoli e secoli di anticipo: i maya.
Casualmente, parecchi mesi fa, ho visto in televisione una trasmissione pseudo scientifica sull’argomento che avrebbe fatto ridere i polli. Cosa non si escogita per l’audience e trattenere il popolo davanti agli spot commerciali.
Così l’indomani ho scritto la favola giocosa che vi pubblico immaginando la mia famiglia nel fatidico giorno, buon divertimento e restate tranquilli: questa pallina sulla quale ci accapigliamo continuerà a lungo a girare sospesa malgrado la stupidità della gran parte dei vermicelli umani. Profezia di Mimma.

Una strana apocalisse

<Le signorine che ancora frequentano le scuole elementari entrino nel manipolo alla mia destra per l’indulto generale, i giovanottelli a sinistra. Siete pregati di indossare abiti decenti, sono proibite le minigonne e i top scollati, in quanto ai maschi pantaloni lunghi, canottiera composta e niente zoccoli di legno da sbattere sulle nuvole. Non serve bagaglio>.
La voce dell’angiolessa Mimisia, giunta da poco nel medio coro per raggiunti limiti d’età, divenne rauca e quasi sexy perché non aveva ancora superato la broncopolmonite, complicanza dell’influenza, complicanza dell’embolia polmonare massiva bilaterale che, tutte insieme concordi, l’avevano portata via lasciando due nipoti, una sorella e tre gatti straziati.
Le scapparono ancora alcuni colpetti di tosse. Invece gli angeli navigati, passati a miglior vita da almeno un migliaio di anni, si occupavano dei grandi peccatori e avevano un gran da fare a radunare politici e industriali corrotti, raccomandati imbroglioni, mafiosi e assassini, che si nascondevano qua e là, preferibilmente nei dintorni delle banche estere dove avevano nascosto somme ingenti.
Si sentì una serie di squilli di trombe: <Il valore del denaro è definitivamente annullato> fece un vocione virile, era San Pietro in persona, con una gran barba bianca e le orecchie a sventola rosse dalla rabbia nel vedere quelle scene indegne di avidità, ma più di tutto gli bruciava che in tutta quella folla fossero mischiate anche alcune eminenze ecclesiastiche, che si mimetizzavano dietro gli altri.
<Tanto prima o poi bisognava pur morire> affermò mia sorella Iole.
<Meglio poi, mamma> rispose Mariachiara.
<Io volevo andare in campagna, le galline sono digiune, povere bestie, e pensavo di raccogliere i primi fichi> disse mio cognato Giuseppe masticando uno stuzzicadenti all’angolo delle labbra, cosa che gli dava l’illusione di fumare meno.
<Ed era venuto Cosimo per la partita, che faccio, lo rimando da sua moglie?>.
<E che vuoi fare, papà?>.
<Preparati, amore, mettiti la maglietta celeste pulita a mezza manica e i jeans che ti ho appoggiato sul letto>.
<Morire insieme, che bello> ironizzò Mariachiara.
<Ha telefonato tuo fratello?>.
<Giovanni ha detto che ci aspetta davanti all’università, partiremo da lì>.
Difatti, in fretta e furia, era stato organizzato un corteo di dissidenti, che intendevano iniziare lo sciopero della fame affinché ci fosse una proroga bella lunga, di almeno uno o duemila anni. Così i tre fecero merenda con quel poco che avevano in casa: una pizza da un chilo con funghetti champignon, prosciutto e formaggio; un bicchiere di lambrusco per uno, un poco di salsiccia e braciolette arrostite frettolosamente con pane del giorno prima cotto nel forno a legna, insalata, frutta e caffè. All’ultimo minuto Mariachiara afferrò due o tre biscotti al cacao e tutti si divisero con aria rassegnata il contenuto del sacchetto, tanto adesso iniziavano il digiuno.
Nel frattempo squillò un telefonino, <È il mio> fece la ragazza, <Ciao, amore, stai ancora bene?>.
Il giovanotto, dall’altra parte, si lamentò che non aveva nemmeno avuto il tempo di fare colazione e si sentiva il buco nello stomaco: <Non voglio andare digiuno al corteo> concluse, <non mi puoi portare un panino?>
<Proprio ora, che avevo trovato un lavoro sicuro per quindici giorni> piagnucolò.
<Coraggio, tesoro> lo confortava Mariachiara affettando salame e tagliandoci dentro pomodori a ciliegina.
Ci versò sopra  un’abbondante calata di olio extravergine e pressò il tutto. Era una gran cuoca. <Portami anche una bottiglina di lambrusco> fece il giovanotto. Qui Mariachiara sbuffò girando la faccia dall’altro lato perché lui non la sentisse.
<Siete pregati di abbandonare i telefonini> fece una voce rabbiosa, era Satana, che esultava:
<La fine del mondo è iniziata> annunciò felicissimo dell’urlo di terrore che riuscì a provocare.
<Ma non era per dicembre prossimo? Siamo ad agosto, perché questo anticipo?>
<La misura era colma e traboccante> rispose Satana affilando il tridente con l’unghia oversize che portava al pollice della mano destra.

Domenica Luise

E dopo di tutto questo, se avete ancora voglia di sentirmi cantare i gorgheggi che ho inventato, fate pure clic su questo link: http://beatiipoeti.blogspot.it/