
Il postino Michele si sentiva furbo e apriva l’enciclopedia delle cartoline alla quale si era abbonata la maestra del paese, toglieva la cartolina omaggio autentica che c’era in ogni uscita e la regalava a sua moglie per la raccolta. Rideva e le raccontava che lei, col bastone e tutta quella pancia, era andata dal direttore della posta a protestare personalmente e come lui le avesse risposto che da Milano alla Sicilia il cammino era lungo e vacci a capire chi apriva i fascicoli e si sgraffignava le cartoline. Rosetta, la moglie, gli faceva cenno che non parlasse davanti alla figlia di tre anni, ma Michele sghignazzava: <Che deve capire lei>.
Ogni settimana si portava a casa ora una rivista ora l’altra a cui erano abbonate le persone, sua moglie aveva delle preferenze: <Te le faccio avere tutte e due> rispondeva lui. Per sè teneva quella dei motori.
<In questo mondaccio vergognoso bisogna darsi da fare>.
<Ma se…>.
<Ma chi vuoi che se ne accorga?>.
<Allora tu rubi, papà?> chiese Menichella una volta masticando la polpetta.
<Come ti permetti, scema? Papà è l’uomo più onesto del mondo>.
<Stai zitta, tu> e Michele fece il gesto di picchiarla da lontano, Menichella sputò la polpetta e si mise a piangere nel piatto.
<Da domani passerò pure i volantini nelle buche della posta, tanto il giro debbo comunque farlo e sono sempre soldi che entrano. Ho preso la pubblicità del forno qui di fronte, di due supermercati, della gioielleria e della boutique, glieli infilo in un colpo solo>.
Era tutto casa e famiglia, mai che offrisse un caffè ai colleghi dalla macchinetta che tenevano negli uffici interni o salutasse entrando al lavoro, aveva altro da pensare, lui. E quando arrivò un tablet al figlio del capostazione la tentazione fu forte né egli resisté minimamente, aprì il pacco con cautela, prese l’apparecchio, che nascose nel cassetto chiuso a chiave della scrivania dove teneva, diceva lui, i documenti, cioè il suo gruzzolo segreto, e lo sostituì con pezzi di cartone della stessa dimensione. La faccenda gli prese tempo perché volle fare raggiungere al pacchetto il peso che aveva il tablet e così quel giorno, invece di distribuire la posta, la buttò direttamente nei bidoni della spazzatura: fatture, stampe, foglietti del volantinaggio e pubblicità per le prossime elezioni. Dopo di che consegnò il pacco angelicamente e intascò i soldi.
A pranzo si dimenava sulla sedia e aveva la testa al tablet, non vedeva l’ora di provarlo. Tutti dicevano quanto android fosse diverso da Windows, qualche suo collega affermava di avere avuto difficoltà, un altro vanesio si era portato l’oggetto del desiderio in ufficio e nell’intervallo aveva mostrato come si comandava col dito.
Ingoiò distrattamente la pasta col sugo dimenticandosi di metterci il parmigiano e le melanzane fritte.
<Che c’è, papà, hai rubato di nuovo?> disse Menichella, egli fece il solito gesto di picchiarla da lontano e la bambina, stavolta, pianse a calde lacrime nella pasta.
Dopo pranzo non poté farsi la pennichella come al suo solito, la testa era al tablet.
<Domani viene la mamma> disse Rosetta scrutandolo, <ha detto se può passare con noi il fine settimana. Ti prego, sii paziente con lei, è malata e non è colpa sua se è tanto seccante>.
Michele, stavolta, fu contento per la visita della suocera: così madre, figlia e nipotina avrebbero confabulato tutto il tempo e lui sarebbe rimasto a divertirsi col tablet.
<Ma certo, tesoro, va bene> rispose con aria tanto assente che Rosetta restò a bocca aperta. E l’aveva pure chiamata tesoro. Che ci fosse un’altra donna?
Ma Michele non poté resistere oltre, aprì il cassetto della scrivania e prese il tablet. incominciò a trafficare per metterlo in moto.
<Di chi è questo?>.
Egli si pentì subito di averlo tirato fuori.
<Di un mio collega>.
<L’hai rubato, papà?> chiese Menichella a voce alta e chiara rialzando la faccia dal tavolo ancora apparecchiato.
<Non l’avrai…preso> strabiliò Rosetta.
<Ma no, è di uno che non conosci e non lo sa aggiornare>.
In quel momento bussarono alla porta, Michele ebbe un sussulto e, nella fretta, nascose il tablet sotto un tovagliolo.
Erano il direttore della posta e il figlio del capostazione insieme. Michele assunse un atteggiamento stupito e, involontariamente, anche un poco stupido, con le labbra penzoloni e l’occhio spento.
<Oh, direttore. Oh, Francesco. Prendete un caffè? Come stanno mamma e papà? Allora, Rosetta, prepara un buon caffè>.
<No, grazie> dissero i due in coro. Il ragazzo teneva in mano il pacco del tablet che Michele gli aveva appena portato.
Il direttore raccontò come poco prima la signora che faceva le pulizie fosse andata a buttare un sacchetto nella spazzatura e ci avesse trovato dentro sparsa tutta la posta che proprio lui quella mattina avrebbe dovuto distribuire. Nel frattempo era arrivato nel suo ufficio Francesco e gli aveva fatto vedere come, al posto del tablet, ci fossero pezzi di cartone.
<Non ci posso credere> ripeteva il direttore. Il ragazzo, coi cartoni in mano, era lì muto che sembrava paralizzato.
Rosetta era scarlatta: <Ma non penserete…> balbettò.
<L’ha rubato papà> disse Menichella con un tono che sembrò d’orgoglio, <e l’ha nascosto sotto questo tovagliolo quando avete suonato>.
Domenica Luise
Le cartoline che illustrano questo racconto fanno parte di quelle che si scambiavano mamma e papà nel 1939, durante il fidanzamento.