La sirena

Ulissa naviga il mare
senza cera nelle orecchie, legata
al palo della zattera o alla croce
con vela di carta velina e né timone
né copertura a difendere.

 Questo canto azzurro liquido sulle membra
e nei capelli dove l’universo
è tutto nel punto
della  stella marina bianca. La seduzione
non interrompe il fischio
ora più ora meno, ma
sempre
ultima insistente struggente
invincibile speranza senza speranza, che
mi cerca un’altra volta ancora
per la mia poesia inesistente
con la coda di pesce e le mani appoggiate
a trattenere la sabbia. I violini delle favole
a onde placide e lacrime, qui
c’è il tesoro dal cuore rattoppato.

Perché non capisci, non vedi, non senti?

Domenica Luise

Disegno eseguito al computer da Domenica Luise

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Colloquio di lavoro

La suora, forse, sembrava più vecchia di quello che era per la stazza, la pappagorgia e gli occhiali cerchiati di scuro.
Se ancora faceva la preside non poteva averne ottantacinque, nemmeno Monti avrebbe chiesto tanto.
Guardò distrattamente il crocifisso che l’uomo portava appeso al collo ad un sottile laccio d’oro e pensò che l’aveva indossato per l’occasione e pigliarla con le buone.
<Sì, il suo curriculum è magnifico. Complimenti davvero. Io la prenderei, ma domani ho un colloquio con altri due abilitati, un uomo e una donna, che lavorano gratis pur di avere il punteggio>.
<Lei capisce vero? Se l’abilitato oppure l’abilitata accettano, ma in realtà sono disponibili entrambi, preferiamo risparmiare, sa, sono tempi duri per tutti. Peraltro…>.
La suora era un parallelepipedo con gli occhiali. Lui, il giovane uomo, aveva trentatré anni come Cristo, quando i grandi sacerdoti decisero che conveniva toglierlo di torno: troppo bello, troppo intelligente e troppe guarigioni.
<Peraltro>.
<Lei sarebbe disposto a saltare la teoria dell’evoluzione? Sa, le giovani coscienze si potrebbero turbare. Siamo una scuola cattolica: la creazione…>.
Egli pure era cattolico e mai la teoria dell’evoluzione gli era apparsa in contrasto con la creazione in sette giorni, ognuno dei quali, nell’azione divina, poteva durare centinaia di migliaia di anni.
Tuttavia, per sganciarsi da mamma e papà e mantenersi da solo, aveva bisogno di almeno milleduecento euro al mese. Altri due o trecento euro li racimolava vendendo cose su eBay, oppure non avrebbe avuto mai la faccia di dichiararsi alla ragazza che gli aveva ricambiato il sorriso proprio in chiesa, alla messa. Già. Gli piaceva tanto.
Rispose alla suora che non c’erano problemi e avrebbe detto ai ragazzini tutto quello che voleva.
<Se poi viene una signora> continuò il parallelepipedo, <quando finiscono le ore di insegnamento ripulisce la propria aula e i bagni degli allievi>.
Qui, forse, conveniva che egli ripetesse: <Non ci sono problemi, lo faccio io, che ci vuole?>, invece disse:
<Ma non ci sono i bidelli?>.
<Sa, di questi tempi duri. Quindi tra lei e l’abilitato che si accontenta del punteggio, dobbiamo scegliere l’abilitato, ma tra l’uomo e la signora meglio la signora, che ci risparmia la spesa dei bidelli. Peraltro>.
Lo sguardo del ragazzo divenne remoto, ma un angolo delle labbra gli tremò al pensiero che aveva ottenuto quel colloquio con una raccomandazione. Gli scappava da ridere.
<Nel contratto noi scriviamo mille euro, ma lei ne riceverà ottocento, sui quali farà un’elargizione spontanea del venti per cento al nostro istituto>.
<Ho capito> rispose Cristo.
<Le faremo sapere> soffiò la suora restituendogli il curriculum, era quasi l’ora di pranzo e si sentiva deboluccia, soffriva di cali di zuccheri e aveva già mangiato tutte le caramelle mou che nascondeva nelle tasche.
Non lo richiamò mai, ma la ragazza, quella che gli piaceva tanto, la domenica seguente gli sorrise per prima e gli parlò.

Domenica Luise

Questo racconto è basato su fatti veri.

 

I crepacci

Il sonno dei vecchi, che mi possono scannare
e non me ne accorgo, vuoto
nero a succhiarmi, ma
anche l’insonnia coi pensieri
di capelli asciugati al sole
studiando la Divina Commedia. I guizzi
sogni delusioni e una vita minuetto
di me a me stessa: chi sono
perché come quando. E dove.

 Oh, le domande tragiche così diverse
dalla pace di un iris viola accanto alla rosa
rossa striata come una brace che si attorciglia
in se stessa. E i miei gatti
a pancia all’aria di fusa e
la primavera, l’estate che sempre si ripetono, io
avevo una mamma che ormai
tace. Un tepore spento
incomprensibilmente dalla terra in fiore
con alberi verdi dritti al cielo.

 All’usignola stonata ferma nel bacio del lieto fine
non corrisponde la bara. Imperterrita
in un mondo a colori disegnati, inno
alla vita sognata.

Domenica Luise

Disegno di Domenica Luise per la propria favola dell’usignola stonata,
http://usignolastonata.wordpress.com/

Donna

Avviso urgente: sul giardino dei poeti di Cristina Bove sono state pubblicate alcune mie poesie recensite da Flavia Isetta, se volete farci un salto ecco il link:

http://giardinodeipoeti.wordpress.com/2012/09/14/domenica-luise/#comments

 

L’ombra del mio cuore sulla luna
a crateri che trasudano vita, fonte
di fiumi dolci.

La terra così si sposa al cielo
ed indossa l’anello.

Domenica Luise

Quadro a olio su tela di Domenica Luise, elaborazione grafica di Domenica Luise

 

Scrittori di oggi: Cristina Bove

Sono rimasta fulminata fin dal primo momento che ho letto questo racconto di Cristina Bove: è travolgente, spiritoso, ispirato, fantasioso che di meglio non si può, immaginifico e scorre come un film intellettuale, a colori, anzi ad aurore boreali.
Il gioco ironico delle parole (sottobosco-sottoblosco, blog-bosco) si mescola con divertimento mai esplicito e mai forzato ad un tocco surreale che ci sta d’incanto e la vicenda della fragile insalatina accolta ai piedi, anzi al piede del fungo Mic, che decide di nutrirlo disfacendosi in amore, trasforma la pena della morte in un inebriante consumarsi insieme in questo sottobosco o sottoblosco  strano, duro e bello come la vita e la poesia.
Tutti vorremmo piuttosto morire insieme alla persona amata che sopravvivere senza.
Lo stile è repentino, ridotto all’osso, ma con i lievi turgori che lo modellano, è anch’esso una cosa viva, una serie di battiti, compianto, partecipazione di innocenza e sorrisi creativi.

Domenica Luise 

 Storia da sottoblosco

 finiamola una buona volta di cominciare col c’era una volta e incipitiamo con:
Non c’era prima e non ce ne frega niente se non ci sarà poi, a noi interessa il momento, il qui e ora.Si può anche pregare, volendo, ma sempre in tempo presente. E soltanto davanti a indiscussa divinità (pare facile!).
Dunque, qui si sta nel sottoblosco, all’ombra di megasiti.
In questo contesto pullulante di spore c’è fermento.
Blogalmente ci siamo tutti, compresi licheni, muschi e saprofiti.
Salicornie silvicole (ahahah), flagellati (anche fossili), calzini appesi ad asciugare (lo so, non ci azzecca, ma non eccepite, per favore), in più qualche timidìcola alla base di alberi tra-secolanti.
Lei, Cappuccina, vegeta sotto una vescia monumentale, appena un po’ a ridosso della stessa.
Ha lunghe trecce morbide (e adesso non ve ne uscite che le lattughe non hanno capelli), non mi va di dirvi come sono fatte, verdi però, ve lo assicuro. Come verde è del resto anche il resto (bisticcio voluto) ma lo sappiamo solo noi. I daltonici ignorano.
Oggi è giornata nera. Ha piovuto tutta la nottata e ancora piove.
Per la gente del sottoblosco è l’inizio della stagione invernale.
Mister Verzacolo, così chiamato per farlo rimare con vernacolo, un vecchio cavolo semilignificato, dimenticato dal popolo blogante, ha smesso di lanciare i suoi lazzi a tutto il vicinato, ha perfino sospeso il suo versare acido sui minimanimalisti sempre pronti a difendere lontre puzzole e altri mefitici animaletti zonali.
La Stellaria ha rinunciato all’aria e adesso scrive strambotti  firmandosi Stell e basta.  Con risultati scarsi, ma a lei non interessa, ama uno storno (che la tradisce ad ogni pié sospinto in cambio di uva passa e qualche grano di miglio) e per lui ha perfino concepito uno stornello.
Cappuccina osserva divertita da sotto il suo riparo, ma ahimè, la vescia si sta afflosciando e a lei urge una nuova sistemazione.
Decide infine di trasportarsi altrove. Sradica con fatica radice per radice, o è un fittone? boh, neanche lei se lo ricorda… insomma solleva la sottana, ehm, il sottofogliame e a piedi scalzi, si fa per dire, si dirige di corsa verso un bel fungo altero, cappello un poco a punta, picchiettato di giallo.
“ Ehilà, signorina, che ci fai qui sotto?”
“ Cerco soltanto un po’ di riparo, non vedi come piove?”
“ Sì che vedo, anzi sento, sono fradicio in ogni mia lamella.”
“ Signor….”
“ Miceto, Mic per gli amici.”
“ Mic, puoi ospitarmi per un po’ vicino al tuo gambo?”
“ Russi la notte?”
“ Quando mai! Le insalate non russano, tranne quelle russe.”
“ Allora puoi rimanere.”
“ Grazie, non sarà per molto, sono quasi arrivata”
“ Certo che sei arrivata, stai qui!”
“ Volevo dire appassita, sfatta.”
“ A me non pare, anzi, mi sembri in ottima forma.”
“ Tutta apparenza, credimi, faccio una gran fatica a tenermi intorno le foglie, neppure gli uccelli vengono più a liberarmi dai bruchi, e ormai non faccio altro che cantare con un po’ di malinconia le mie giornate di sottoblosco.”
“ Capisco, ma qui ti puoi fermare a prender fiato. Potrei prestarti qualche ifa, magari ci stili un paio di verdiversi.”
“ Molto gentile, Mic, penso proprio che accetterò il tuo dono. Grazie.”
“ Di nulla, in cambio ti chiedo solo di scrivere qualcosina anche per me, basterà, che so, un tanka da sciarpalcollo, così da ripararmi un po’ dal freddo.”
Intanto aveva smesso di piovere sulla bloghiera e presto anche nel blosco ci sarebbe stata una schiarita.
Ovunque c’era aria di rinnovamento, le blogherie vendevano di tutto, fumetti, pipe, calumet, immagini della madonna e barzellette sconce, veri shopshow,  ma anche serissimi neridicorvo, scritti alla rovescia, mangimi per allocchi (i gufi e le civette fanno shopping all’estero), e infine trovare  una sorpresa, a saperla cercare.
Cappuccina avrebbe voluto rimanere sotto il gentile Miceto, ormai tra loro si era stabilito un afflato da poeti (ché soltanto i poeti hanno l’afflato), per non dire di un sentimento di condivisione e anche qualcosa di più, ma capiva che sarebbe stato comunque per poco, lei era quasi marcita, e lui perdeva ife a tutto spiano.
Cosicché decise: avrebbe almeno ricambiato questo Mic che l’aveva accolta con affetto;  affetto magari no, i funghi hanno affezioni, mica amore,  ma forse micamore, ed anche le lattughe mica si concedono tanto facilmente.
Pensò a lungo, intanto che l’orlo delle sue foglie si sfrangiava.
Prese quindi una decisione, si sarebbe lasciata languire ai suoi piedi, anzi al suo piede, e avrebbe nutrito dei suoi elementi il caro ospite.
Non ci fu verso né versi, per smuoverla da questa decisione, Mic non aveva mezzi per scalzarla e mandarla via.
Così lei si ridusse pian piano, le sue trecce sbiadirono e si arresero al cedimento, qualcuno dei blog altolocati osservava senza muovere un sito o un foglio o una foglia; avevano tutti la puzza sotto il naso e, benché lei avesse sempre emanato soltanto un lieve sentore d’erba fresca, voltavano il capo e facevano finta di non vederla.
Giunse così il momento, Mic era desolato, non sapeva più che fare per impedire la fine dell’amica.
Vennero a trovarla in molti, fiori di campo sradicati, glicini senza rami, rose sfiorite, papaveri sornioni, gazzette ufficiali e subalterne, storni e galli da combattimento,  bruchi diventati farfalle e insettistecchi.
Gli ultimi sguardi dalle rare spore rimaste, il fungo li dedicò a lei con una nenia che li accompagnava.
E quando fu sparita anche l’ultima traccia del verde sembiante dell’onesta e garbata insalatina, anche Mic si lasciò cadere sullo sfagno e, lentamente, entrò con lei nel più profondo sottoblosco che li accolse entrambi.

Cristina Bove

(Disegno eseguito al computer da Domenica Luise)

Avviso urgente: sul giardino dei poeti di Cristina Bove sono state pubblicate alcune mie poesie recensite da Flavia Isetta, se volete farci un salto ecco il link:

http://giardinodeipoeti.wordpress.com/2012/09/14/domenica-luise/#comments

La giraffa zitellona

Avviso urgente: sul giardino dei poeti di Cristina Bove sono state pubblicate alcune mie poesie recensite da Flavia Isetta, se volete farci un salto ecco il link:

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Disse mamma giraffa alla giraffina: <Figlia, se non trovi un maschio che ti accarezzi il collo ed impazzisca per te fino a sposarti, non avrai nessun successo nella vita>.
La ragazza, che era stata promossa con una media altissima dal secondo al terzo liceo classico, si trovava in quel momento sdraiata sul muschio, con un libro di letteratura italiana davanti.
<Quello che conta nella vita> continuò sua madre, <è di passeggiare, in estate, tutte le sante sere con le compagne, ridendo e mangiando il gelato, di modo che i maschi ti vedano scuotere i fianchi e ondulare la coda>.
Chilometrico Collo, questo era il nome della giraffa figlia, volse verso sua madre gli occhi bruni: <Ma a me piace studiare> rispose,  io voglio fare la professoressa di lettere ed esercitarmi in pittura e poesia come hobby>.
La mamma si gettò le zampe nei peli del ciuffo, che le stava all’aria a furia di gommina, fra due graziosi cornicchi né piccoli né grandi.
<Via, mamma> disse Chilometrico Collo con un sorrisetto di compatimento alquanto insopportabile, <erano altri tempi>.
<No, figlia, guarda che sono sempre gli stessi tempi. Senza un marito e dei figli, chi penserà a te nella vecchiaia?>.
La ragazzina spalancò ancora di più gli occhi dalla sorpresa: <E devo preoccuparmi da ora? Non ti pare un po’ presto?>.
<No, figlia, è già tardi. Guarda le altre giraffe della tua età, sono tutte accoppiate da un po’>.
<Ma io non ho voglia di accoppiarmi!>.
<C’è il figlio del re delle scatolette di carne per gatti che ti vorrebbe accarezzare il collo>.
<Non lo voglio, ha gli occhi storti>.
<C’è il figlio del principe dei detersivi prendi tre e paghi due che ti vorrebbe accarezzare il collo>.
<Non lo voglio, ha la pancia ed è pure pelato>.
<C’è il pronipote del cugino del decaduto conte Cirillo, che ha sprecato tutti i suoi averi per pubblicare libri invenduti di poesie>.
<Questo lo voglio> disse Chilometrico Collo dopo averci pensato un secondo, <sai che ti dico? Hai avuto un’ottima idea, potremo pubblicare insieme libri di poesie. Però mi piace pure la pittura, non c’è un altro corteggiatore che dipinga?>.
C’era, naturalmente, ed era ricchissimo perché si faceva battere gli zoccoli dalla claque in tutte le mostre, passava le bustarelle ai giudici dei concorsi ed i suoi quadri erano scopiazzati qua e là. <Non lo voglio> affermò Chilometrico Collo, <è un farabutto ed è pure più basso di me>.
Sua madre, senza risponderle oltre, andò a piangere sul collo del marito, che le consigliò:
<Non insistiamo, facciamola studiare o questa ci porta un nullatenente in casa>.
Fu così che tutti la considerarono anormale. Sempre sola, coi libri in zampa a leggere o con la penna in zampa a scrivere poesie o con il pennello in zampa a fare quadri astratti.
Era, praticamente, la giraffa nera della famiglia.
I suoi fratelli e sorelle avevano tutti mogli e mariti, procreavano, litigavano e si reputavano felici. A loro pareva che Chilometrico Collo non facesse nulla.
Spedì le sue poesie agli editori, che gliele rifiutarono con varie scuse: perché erano lunghe, perché erano corte, perché non erano erotiche né adatte alle loro collane. Qualcuno trovò perfino inosservanze nei tempi verbali.
Propose i suoi quadri ai mercanti d’arte, che glieli rifiutarono con varie scuse: perché avevano colori troppo sgargianti, perché avevano colori troppo tenui, perché erano troppo piccoli, perché erano troppo grandi e perché non erano sufficientemente sensuali.
Allora la giraffina, che aveva creduto di fare un grande dono all’umanità con la sua arte, perdette tutti i sogni e rimase senza speranza. L’unica cosa che le riuscì fu di diventare professoressa.
I suoi fratelli e sorelle la usarono come baby sitter gratuita finché ebbero i figli piccoli, dopo ognuno prese la sua strada, si sa, è la vita.
I genitori, da lei assistiti amorosamente, morirono di vecchiaia e Chilometrico Collo dovette andare in pensione per raggiunti limiti d’età.
Il nipote maggiore, che lei aveva cresciuto, si sposò e si ricordò di invitarla al matrimonio per avere un buon regalo, si sa, è la vita. Chilometrico Collo gli regalò uno dei suoi quadri più belli superbamente incorniciato. Egli sperava, anzi era certo, che sganciasse un assegno. Rimase col collo storto contro la zia, che però non si avvide di nulla , neanche al banchetto di nozze, dove si presentò con un abito semplicissimo, dipinto da lei a macchie astratte, che fece ridere tutti, tranne un critico d’arte lì presente per caso.
Egli la guardava a muso aperto. Ormai Chilometrico Collo aveva più di sessant’anni e non era da un bel po’ una fanciulla, tuttavia quelle occhiate la turbarono.
Gli chiese, con voce roca, cosa lo interessasse, il giraffo tirò la pancia in dentro e si fece avanti.
Era affascinato dal suo vestito, rispose, ed anche da lei. Dall’insieme . Era forse lei l’autrice del meraviglioso quadro donato agli sposi? Poteva organizzarle una mostra? Poteva invitarla a teatro a vedere “ Giraffa Giselle? “ Poteva portarla a pranzo, a colazione, a cena, a ballare, poteva accompagnarla ora al buffet?
Poteva accarezzarle il collo?
Aspettò una risposta con gli occhi neri neri ed  il muso fremente.
E così Chilometrico Collo, a sessant’anni o poco più, trovò l’amore, la gloria e i soldi tutto in un colpo solo. Aprirono un rifugio per giraffini orfani, che li chiamavano mamma e papà e vissero a lungo tutti insieme felici e contenti.

Domenica Luise

Un labirinto


senza risposte
né attese, ogni tanto
brilla un lustrino di luce finta.

Stiamo così, sbalorditi
mendicanti dell’essere
che sperano una speranza non caduca
o insicura. Stridiamo
canti di pavoni.

Cerchiamo l’eden nella palude. E la poesia
al centro, ammantata di segreti
dei segreti di altri segreti, abitante
succosa del luogo assetato.

Sulle nostre bocche di terracotta
restano le parole dei morti
sempre uguali nei millenni, dalla pietra
al computer: Amor dolore gioco.

Ed oltre.

Domenica Luise

(Elaborazione grafica di Domenica Luise con proprie fotografie)

La Divina Commedia secondo Mimma

In fine del cammin di nostra vita
cent’anni e rotti in internet oscura
di pianti e lai mi ritrovai smarrita.

Ahi, quali affanni, duolo e che paura
strizzarono il mio core in tale sorte
e zoppicando entrai nella radura.

 Paga, satàn, paga satàn a morte
strillava Monti con la voce chioccia
ricevendosi in viso molte torte.

Fu allora che dall’alto di una roccia
Domenica Luise si tuffava
con le braccia aggrappate alla capoccia.

 Ella peraltro la poesia che amava
qual salvagente per andare a fondo
usò dell’alma umana nella lava

dalle tenebre buie di questo mondo
fino all’iperuranio glorioso
di luce chiara e canti assai giocondo.

Tempi crudeli fecero il maestoso
furore giovanile surgelare
recalcitrando qual cavallo ombroso

e qual cavillo da sperimentare
a salvezza delle anime perdute
e contro ogni speranza ormai sperare.

La bufera immortal, che l’alme mute
travolge stringe e sbatte infuriata
non ha pietà delle teste canute

né dell’umanità triste e malata
ovver dei ragazzini viziati
in una sorte certo assai ghiacciata.

Ed i politicanti disperati
litigiosi, imbroglioni e così sia
all’inferno per sempre rigettati

ma non da soli, in buona compagnia
di bugiardi, pedofili e assassini
che di ogni onore fanno simonia.

 Domenica Luise

(File disegnato al computer da Domenica Luise)

Vi voglio invitare a leggere qualche bella poesia di una ragazza moderna presentata da me sul Giardino dei poeti, ha scritto “la poesia divora” e, secondo me, ha capito molto: http://giardinodeipoeti.wordpress.com/2012/09/01/anila-resuli/#comments