C’era un poeta giovane e bello, con i boccoli biondi. Sembrava un cherubino cresciuto. Era il più grande di cinque fratelli. Quando nessuno lo vedeva
cantava e ballava da solo perché era sempre contento.
Era fidanzato con una ragazza che si era diplomata a forza di
raccomandazioni : gli sembrava intelligentissima, ma in realtà era
soltanto bella.
Un triste giorno il poeta divenne rauco e, pian piano, dovette smettere
prima di cantare e dopo di parlare. Sussurrava soltanto.
Infastidita, la fidanzata lo lasciò ed egli pianse. Si sfogò con un altro
volumetto di poesie che nessuno volle leggere, ma a lui bastava
averle scritte. “Sono felice lo stesso” pensò, e si rimise a ballare,
ma subito sentì un forte dolore alle ginocchia, dopo ai polpacci,
ai piedi, alle mani e restò paralitico.
I quattro fratelli, che egli aveva, con sacrifici inenarrabili , cresciuto
ed avviato al lavoro dopo la tragica morte dei genitori in un incidente automobilistico, dapprima lo curarono con dedizione, lo imboccavano, lo
cambiavano e gli tenevano compagnia a turno. Visto che non guariva,
il minore dei fratelli fuggì di casa e se ne andò a lavorare in Svizzera
per formarsi una vita libera. Il poeta pianse e si disperò, ma dopo
imparò a muoversi con una sedia a rotelle computerizzata, un braccio
meccanico lo imboccava e poteva sussurrare le proprie poesie
accendendo da solo un registratore tramite il piccolo telecomando.
“Posso essere felice lo stesso” pensò.
Guardava sempre fuori dalla finestra e giunse la primavera. I passerotti
gli volavano tra le mani per mangiare le molliche del suo pane.
C’era il mare, sullo sfondo. Gli piaceva scrutarne i colori. Il sole
tramontava davanti a lui ogni sera.
Ma gli vennero strane nebbie davanti agli occhi, chiamò il più piccolo
dei tre fratelli rimasti. <C’è la nebbia ?> chiese, quello rispose di no
e andò in fretta a preparare la cena. Intanto l’ombra aumentava e, prima
di sera, fu completamente cieco, “Come sono disgraziato” pensava.
Il medico si strinse nelle spalle ed ordinò una visita oculistica,
l’oculista si strinse nelle spalle ed ordinò l’elettrocardiogramma,
il cardiologo si strinse nelle spalle ed ordinò l’elettroencefalogramma,
ma cieco era e cieco rimase. Il più piccolo tra i fratelli, dopo qualche giorno,
in preda allo scoraggiamento, fuggì in Germania per dimenticare ed
iniziare una nuova vita. Il poeta pianse e desiderò di morire come
ancora mai l’aveva desiderato, ma quella notte udì il canto di un usignolo
e sussultò di una gioia misteriosa, “Per questo soltanto“ pensò, “vale la
pena di vivere. Posso essere ugualmente felice“.
E sussurrò, nel registratore, cose magnifiche perché la sua poesia, ormai,
si era trasformata in luce. Ma la notte dopo non sentì l’usignolo e,
al mattino successivo, non rispose ai due fratelli che lo chiamavano:
era diventato sordo.
Il più piccolo tra i fratelli, non sopportando oltre di vederlo così,
fuggì in America per non pensare più a niente, il poeta rimase nel calore
del sole.
Il suo cane, un pastore belga bastardino dalla grossa testa, venne a
fargli le feste, gli leccò le mani e il viso, il poeta, allora,
rise come un fanciullo, “Posso essere ancora felice“ pensò.
Il fratello ultimo rimasto gli cucinò il pranzo, lo pulì, gli tenne compagnia,
ma tutto come un triste dovere. Pareva che non avessero più niente da dirsi
e, durante la notte, il poeta pianse di nuovo né poté confortarlo l’effluvio
del gelsomino in fiore che entrava dalla finestra aperta.
Si addormentò e fece un bel sogno: “Posso essere ancora felice“ pensò stupito.
<Dove sono?> chiese al grande angelo ridente che gli andava incontro.
<Sei nel Paradiso dei poeti>.
Allora egli danzò e cantò e volò e vide cose non immaginate nemmeno
da un poeta come lui. E fu felice in maniera perfetta.
Il fratello ultimo rimasto, l’indomani mattina, era andato a dirgli che voleva espatriare perché non poteva oltre vivere così, ma come farsi capire da un paralitico cieco e sordo? Quando lo trovò morto tirò il sospiro di sollievo e
subito si mise a piangere, così tutti dissero: <Guardate come lo amava>.
Domenica Luise
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