
a lettera minuscola, ma sempre buono
di carta sporca. Davanti a lui
gli esseri umani si inginocchiano, si compra quasi tutto
la casa, i terreni
la villeggiatura
la moglie
l’amante, talvolta
la salute. La gioia
no.
Per causa sua le esalazioni di gas delle fabbriche
ci impediscono di respirare, bisogna
produrre e vendere
vendere e produrre. E i pesci
galleggiano morti
e il mare è carico di detriti, in suo nome
padre nostro
cresce come il calcare un desiderio di divertirsi a tutti i costi
per sfuggire a se stessi: si fatica troppo e si pensa meno
il marito sorride poco alla moglie e la moglie al marito, i vecchi
ai margini delle vite proficue, inutilizzati, se
avevo tempo stavo con mio figlio
e con la fidanzata del figlio e col cane, ma io
non ho tempo, come posso, qualche volta
invitare a pranzo mio padre vedovo?
Così
l’uomo sceglie gli amici che gli servono
e non quelli che gli sono simpatici, si fa nuovi parenti
in cambio del sangue e dei ricordi.
È la prostituzione globale nella crisi planetaria
quando si fa propaganda al tale o talaltro partito politico non
perché si è convinti, ma
per avere un posto più grosso con uno stipendio più alto
e farsi belli davanti ai parenti avidi
ai conoscenti invidiosi
al proprio fratello che, poveraccio, guadagna poco
e ha una moglie che non lavora di nuovo incinta. Intanto
è tornata la primavera. Imperterrita,
lei.
Domenica Luise
Fotografia di Domenica Luise
Questi alberi…non so che alberi siano, ma hanno un profumo snervante, che mi dà nausea. O forse non saranno gli alberi. È da due mesi che non sopporto il caffè e nemmeno di fumare, anche la mamma, quando era incinta di me, non sopportava il caffè. Lei non aveva mai fumato, quindi non poteva capire la differenza. Signore! Non avrò un figlio dentro, sarebbe comico, con una volta, zaffete, il pupo, sono stata una scema. E mia cugina Nadia ci ha impiegato cinque anni di matrimonio e un capitale di visite. Rido aspramente, qualcuno si gira a guardarmi, sotto gli alberi c’è un negozio dove vendono corredo, abiti da sposa (Signore! Abiti da sposa) e articoli per bambini. Faccio le corna dietro la borsa a tracolla e dico la filastrocca contro il malocchio che mi ha insegnato la nonna. Stai a vedere che divento superstiziosa, anzi lo sono già. Io me lo sento questo figlio in corpo, sono tutta diversa da prima. Molto meno limpida, anche.
La scuola sta finendo, ho avuto un calo in tutte le materie, per forza, il professore di matematica oggi mi ha detto: <Ma perché, Velli, non hai studiato, perché non dici una parola?> e io zitta, tanto cosa me ne importava ormai? Lui mi scrutava e ho sentito che impallidivo e mi veniva la nausea, l’ho solo guardato, mi ha detto subito: <Vai al posto>, ma l’ha detto con una faccia, come se capisse, e sarebbe terribile se avesse capito. I compagni hanno fatto un innaturale silenzio mentre incespicavo verso il banco, <Ti senti poco bene?> ha insistito il professore, ed era così buona la sua voce che io ho pianto con la testa piegata sul braccio, <Vuoi un caffè?> proprio il caffè mi proponeva. Ho fatto cenno di no, <Vuoi uscire?> ho continuato a fare cenno di no e gli sono stata grata perché non mi ha detto più niente e ha interrogato quell’antipatica di Pierina, che è sempre preparatissima e sa tutto, brutta com’è certamente figli non ne fa.
Mi accorgo di essere impietosa mentre sono io ad avere tanto bisogno di pietà. Continuo a fissare la delicatissima copertina gialla con tanti fiori lavorati a uncinetto, io non so lavorare a uncinetto, niente so fare. Sono un peso.
Ma perché lui non viene? Poco fa gli ho telefonato e gliel’ho detto, meglio senza guardarlo in faccia: <Ho paura di aspettare un figlio, vieni al solito posto alle quattro>, ora sono le quattro e mezzo e non arriva ancora né oso richiamarlo. Quando lo sapranno i miei mi diserederanno, figurarsi, la brillante figlioletta messa incinta dal meccanico dell’angolo, quello che qualche volta dà un’occhiata alla fuoriserie di papà e si piglia la mancia dicendo: <Grazie, signore>.
Oh, finalmente è arrivato. Sto per dire: <Sei in ritardo>, ma mi fermo a tempo. Nelle mie condizioni non mi posso permettere di farlo arrabbiare. Mi tormento le dita e, per darmi un contegno, incomincio a stuzzicare l’anello antico che ho al dito, me l’ha regalato per il compleanno la nonna, è una perla vera, grossa, dai riflessi rosa, circondata da diamanti tagliati a rosetta. Giulio mi sembra che abbia un’aria strana, non è arrabbiato, anzi pare contento, ma è contento per conto suo, io non c’entro nella sua soddisfazione.
<Capirai che fortuna se aspetti un figlio, così devono farci sposare per forza,>, ma lo dice in un modo che mi dà malessere, e poi non mi ha baciato la mano come faceva sempre sotto questi alberi nei momenti in cui nessuno ci vedeva. Non ha dolcezza nello sguardo. Io non ho ancora detto una parola.
Incominciamo a camminare, mi prende sottobraccio, ma non al solito modo. Una volta un medico disse che ero ipersensibile, sì, passiamo davanti a una pasticceria e non mi offre il gelato, eppure lo sa bene che potrebbe venirmi una voglia come alle donne incinte. Rallento il passo, ma lui procede e allora lo seguo.
<Avremo bisogno di molti soldi subito> dice Giulio, <dovremo fare un bel matrimonio, un bel viaggio di nozze. Tuo padre ci può dare i soldi, vero? Così nessuno sa niente che sei incinta>.
“E papà ti assumerebbe subito nella nostra industria” penso io con una lucidità arida che mi stupisce, “e saresti a posto, con una bella strada liscia da percorrere e tutte le facilitazioni, di questi tempi, poi”, Giulio non può immaginare quello che mi gira per testa e invece solo troppo tardi io ho capito di essere rimasta incastrata in un gioco ignobile.
Giulio guarda avidamente il mio anello, la grossa perla dai riflessi rosa, mi accarezza la mano, ma la carezza è per la perla, non per me.
<Sai, ho scherzato, non è mica vero che temevo di aspettare un figlio> dico allora e mi riesce benissimo di ridere, voglio vedere cosa fa adesso, lui si ferma e poi si mette a urlare, in mezzo alla strada, come un cafone, dice tante cose, che l’ho preso in giro, che sono una bugiarda, che non mi ha mai amata, non posso sopportare l’umiliazione, il dolore e fuggo via mentre intorno a lui si riunisce un mucchietto di gente, non deve vedermi nessuno, voglio sparire.
È stata una cosa tristissima, penso. Sono affacciata alla finestra della mia camera e guardo il giardino sotto di me, in fondo c’è un tramonto tutto giallo, il mio colore preferito. Non aspettavo nessun bambino, tutte paure inutili, per fortuna o per grazia divina, nel caso me lo sarei tenuto e cresciuto da sola. E non mi hanno nemmeno bocciata anche se non ho preso la solita borsa di studio. Anche questa è stata una bella fortuna. Ho imparato una lezione molto amara. Cercavo l’amore fuori di casa mia, dove mi sentivo soffocare e non sapevo di averlo tanto vicino. Qualcuno mi fischia dal basso, è il mio papà, prima pensavo continuamente che mi aveva avuta nella vecchiaia e perciò non mi capiva affatto, ora provo solo una grande tenerezza per i suoi pochi capelli bianchi. La mamma si fa il cachet biondo cenere, anche il cachet della mamma mi mette tanta tenerezza. <Eccomi, vengo> grido con gioia e il fischio si interrompe. Mi attendono.
Domenica Luise

La poesia di terra e di sole
acceca una farfalla bianca ballerina
che porta l’acqua come le donne antiche
faticosamente sulla testa, nelle campagne
all’alba o al tramonto, non so.
È povera, ha soltanto il volo
fra i fichidindia
e d’altro non si ricorda, qui il dolore
concima l’amore giocando
stranamente, così
il respiro sbatte le stoppie
dove dico quest’incarnazione che io sono
e mi spargo.
Domenica Luise
(Quadro a olio di Espedito Luise)
Avviso urgente, se fate clic su questo link:
troverete l’intervista a Cristina Bove, che parla del suo ultimo libro di poesie: Mi hanno detto di Ofelia.
Qui è la donna morta protagonista più che Amleto, è in lei il potere della poesia che si lascia in testamento attraverso la vita.
Tutti vogliamo manifestare a Cristina, ancora una volta, ammirazione per la sua poesia e affetto grande per la persona con cui scambiamo preziosi momenti di ispirazione.
Domenica Luise

pulirò le verdure, farò cuocere il riso
volgerò il mio sguardo
alla terra, al fornello, alla cucina
ridurrò in piccoli pezzi
zucchine, porri e fagiolini
sì, piccoli pezzi uguali,
con precisione e metodo
farò attenzione a non tagliarmi
quindi
osserverò la lama del coltello e le mie mani
temo le lame;
soprattutto se ben affilate
ma tu non ci sei più, così
non c’è proprio più nulla da tagliare
INFRANOTTURNA
La lirica d’amore puro e nudo, semplice, carnale e spirituale insieme, espressa efficacemente con il minor numero di parole possibili: è quanto trovo nella poesia di infranotturna, a questo indirizzo:
http://infranotturna.wordpress.com/
Visitate il suo blog e rimarrete presi dall’intensità con cui si dice e dice com’è fatto l’amore tra l’uomo e la donna.
Il modo in cui lei si abbandona e lui, alla fine, si allontana.
In verità il ragazzo talora e spesso fugge da colei che l’ama e ne prende un’altra che lo rassicura con la propria mediocrità: meno intelligente, meno sveglia, anche meno bella. Forse più benestante.
Bisogna tenere i piedi per terra, sono tempi duri, la crisi, le tasse, bisogna sopravvivere.
Invece la donna ama e vive, è nella sua natura incosciente e senza misura abbandonarsi così.
All’innamorata non importa niente se mangia pane e cipolle con lui. Ma poi continua a fare il minestrone, metodicamente, una specie di yoga che aiuti a sopportare quel pensiero. Egli è andato via.
Perché?
La ragazza volge il suo sguardo alla terra, al fornello, alla cucina.
Dall’enormità del cielo dove respirava prima, dal fuoco, dal paradiso.
Tagli. Lame ben affilate d’amore. Non è rimasto più nulla da tagliare, è tutto tritato.
Sembra assurdo essere in grado di esprimersi così fortemente con parole così apparentemente prosaiche.
La poesia diventa sotterranea, battito, femminilità, sangue e respiro, anima soprattutto.
La parola si piega umilmente al sentimento forte e limpido. Nessuna decorazione o figure retoriche. La musicalità resta all’esterno dei versi, soffusa, quasi annientata. È appena un respiro agonizzante.
Bella questa poetessa: dice quello che le donne osano sentire.
Dalla danza inebriata al minestrone: è la vita.
Statuina in gesso colorato di Domenica Luise, rielaborazione grafica di Domenica Luise