C’era una volta una poetessa radiosa, che rideva sempre. Fu per questo che i suoi vicini, invidiosi di tanta bellezza ed allegria, incominciarono a dire che era scema. Parlavano spesso di lei, poiché non si poteva ignorare, si battevano più volte la fronte con l’indice e sussurravano a denti stretti :
<Poverina, resterà zitella>.
La fanciulla assistette meglio che poté i nonni, il padre e la madre, una vecchia zia sola e dopo si ritrovò in un palazzo vuoto, sua eredità.
I due fratelli e la sorella si sposarono ed ebbero molte cose serie a cui pensare, tanto lei era sempre contenta, beata lei, che poteva fare tutto quello che voleva, quando telefonava, ad ogni onomastico, compleanno e anniversario, aveva sempre il nitrito trionfale e mai niente di cui lamentarsi, non il mutuo, non le rate della pelliccia, non il morbillo, la tosse e l’influenza dei bambini, non i troppi compiti e i capricci dei professori, beata lei che non si era sposata.
Quando li invitava a pranzo tutti, a Natale, a Pasqua ed il primo giorno di primavera, la sua grande e strana casa trasudava fantasia ed opulenza: frutti, fiori, manicaretti inventati da lei e regali per ognuno di loro. Come si vedeva che era piena di soldi.
I suoi numerosi nipoti le volevano molto bene, si divertivano con lei, tutti le chiesero di insegnare loro a scrivere in un italiano perfetto e migliorarono rapidamente i propri voti a scuola, se ne tornavano a casa, ogni volta, con le braccia piene di cose: il pan di Spagna, la verdura selvaggia cotta e soffritta con uva passa e pinoli, un libro di favole, le rose per la mamma, la bottiglia di vino per il papà. Però non la cercavano mai solo per dirle:
<Ciao, ti voglio bene, come stai?> e, qualche volta, dimenticarono non dico il mazzetto di fiori per l’onomastico e il compleanno, ma perfino un biglietto o la telefonata dell’ultima ora.
Per quanto la poetessa fosse un tipo distratto, scema non era ed incominciò ad accorgersene. Si chiedeva cosa ci fosse in lei che non andava. Alcuni maschi bollenti, dai forti zoccoli ed animo battagliero, l’avevano invano corteggiata e tentato di accarezzarle la criniera. Infine venne un tipo pavido, con gli occhialini e la fronte sempre sudata, che le portava mazzi di fiori rubati ai cimiteri perché era taccagno e il palazzo gli piaceva. La poetessa radiosa provò una blanda tenerezza e finì con il fidanzarsi: ormai aveva trentacinque anni, i nipoti erano grandi, tutti accoppiati e motorizzati per conto loro, occupatissimi col computer, la musica e la squadra del cuore, i fratelli e la sorella sempre più disamorati, avevano già da tempo rifiutato gli inviti a pranzo e si scambiavano soltanto una cartolina a Pasqua e Natale. Aveva perduto la speranza e pensò che fosse meglio non restare oltre da sola in quella grande casa.
Egli veniva a pranzo, si presentava alle tredici, affannato per il galoppo, si sedeva a tavola e faceva il pieno come se fosse un cammello e non un cavallo. Ogni volta si lamentava per le troppe cose da fare, gli impegni all’ippodromo, i fantini grassi e pesanti, gli altri cavalli tutti scemi e le cavalle tutte pettegole. Dopo pranzo si addormentava sul divano, le prime volte seduto normale, poi con le zampe su una sedia, infine con la cravatta slacciata, a pancia all’aria. E russava, pure. “Devo rassegnarmi“ pensava lei facendo la cucina.
I vicini non la sentirono più né ridere né cantare né nitrire, <Finalmente ha messo giudizio> commentarono, <meno male che ha trovato quel fessacchiotto disposto a sposarla>. E passarono a parlare di un’altra puledra, giovane e bella, che rideva sempre e si fidanzava con tutti.
Egli si svegliava, sbadigliava lamentosamente senza mettersi la zampa davanti alla bocca e si accendeva la televisione senza preoccuparsi di cosa piacesse a lei. Nel frattempo l’accarezzava distrattamente sulla criniera.
Venne la settimana prima del matrimonio e tutto era pronto, perfino i fratelli, la sorella e i nipoti avevano assicurato la propria presenza e, tutti insieme, avevano mandato un modesto regalo: due lumi di latta trovati al mercato, in stile antico.
Quel dopopranzo l’ometto aveva la barba lunga e la camicia non proprio di bucato. Dormiva sul divano dopo essersi tolto i calzini, che aveva lasciato cadere per terra poiché c’era caldo.
Lei faceva la cucina e piangeva senza potersi trattenere. Era dimagrita ed ancora più bella senza rendersene conto.
Gli preparò il caffè per quando si sarebbe svegliato.
L’ometto si stirò e sbadigliò nel solito modo. La poetessa gli porse la tazzina di porcellana, su cui era dipinto uno stallone in fase di salto in alto.
L’ometto bevve, goloso, senza ringraziare.
<Vieni qui> bofonchiò dopo, mostrandosi disposto ad un poco di tenerezza.
Aveva poggiato la tazzina per terra, accanto ai calzini maleodoranti.
La fanciulla restò in piedi, sulle quattro zampe appena tremanti, <Non ti sposo più> disse calma.
Egli, preoccupato, balzò in piedi:
<Perché? Cos’è successo ? Che ho fatto ?>.
<Niente! Niente!> nitriva lei sottovoce.
<Ma che ragione hai ?>.
<Nessuna! Nessuna!>.
Litigò come un pazzo. Le avrebbe dovuto restituire quei bei regali. Il cronometro d’oro, specialmente. Avrebbe perduto il palazzo, la modernissima stalla con l’aria condizionata, il servizio ristorante, il divano della pennichella, i soldi di lei. Lo scandalo! Lo scandalo.
Quando vide che le scappava da ridere corse in cucina al piccolo trotto e la minacciò col coltello per tranciare il pollo.
Dopo sembrò tornare in se stesso. Dette un ultimo sguardo al salone, ai quadri, alle piante, al mazzo di rose spampanate, che aveva raccolto quella mattina al cimitero, di lapide in lapide.
<Traditrice> sibilò. Arraffò i calzini, inciampò nel tappeto ed uscì.
La poetessa radiosa sentì sbattere la porta e si mise a cantare Nitrito d’Italia a voce alta.
L’indomani i vicini seppero che il matrimonio era andato a monte: <Lui l’ha lasciata> dissero, <lo sapevamo, non poteva durare>.
Il giorno dopo ancora la poetessa radiosa sentì un miagolio disperato venire dalla siepe e ci trovò dentro una gattina bianca e grigia, con una zampa rotta e l’aria affamata. La curò e divennero amiche, significa che la micia la seguiva sempre dovunque andasse, le saltava in grembo appena si sedeva e le faceva le fusa abbracciandola al collo con tutte e due le zampe. Proprio perché non aveva nessuna bellezza decise di chiamarla miss Italia.
<E’ pazza, parla coi gatti> dissero i vicini, sempre irresistibilmente attirati dai fatti suoi.
La sentivano ridere e cantare:
<Come sembra felice>.
<Poveretta, è spostata. Scrive sempre>.
<Nessuno la viene mai a trovare>.
<Né fratelli, né sorella, né cognati, né nipoti>.
<Forse perché è taccagna, non vuole nessuno in casa>.
<Certo, tutto quello che ha è dei suoi nipoti>.
<E chi lo dice ?>.
<Peccato, quella bella casa. Chissà quanti soldi ha>.
Una mattina videro un cartello con sopra scritto : In vendita.
Dopo tre mesi arrivarono i nuovi padroni, erano ricchi, fastidiosi, presuntuosi e con lo stereo sempre acceso a tutto volume notte e giorno.
<Questi non si sopportano> dissero i vicini.
<Era meglio mille volte lei. Brava persona>.
<Bella puledra, folta criniera, lunga coda, pancia ben pronunciata, ma agile> ammiravano i maschi.
<Generosa, aveva sempre una buona parola per tutti> tentavano di distrarli le femmine.
<Era pazza per i fratelli, la sorella e i nipoti, che pranzi gli preparava. Da me arrivava un odore!>.
<A me una volta ha regalato una pianta acquatica bellissima, quella con le foglie larghe>.
<A me chiedeva sempre del nonno, quando è stato malato>.
<Non si lamentava mai, dove sarà finita ?>.
<Forse i suoi fratelli lo sanno>.
Così telefonarono ai fratelli, che furibondi gli chiusero la comunicazione sul muso. Altrettanto fecero la sorella e tutti i nipoti, ad uno ad uno.
Alla fine, curiosissimi, osarono presentarsi in gruppo per chiedere notizie all’ex fidanzato, che quella volta, dalla rabbia, li inseguì al galoppo sfrenato correndo come mai gli era capitato nel corso della propria, moderata vita.
Tutti dovettero covare la curiosità fino a quando gli durò, sopportando gli schiamazzi dei nuovi arrivati.
La poetessa radiosa era partita con la sua gattina e nessuno di loro ne seppe più niente.
Si trasferì in Sicilia, in un paese di sole, e comprò una piccola villa rustica con giardino, dove potesse ridere e cantare senza che nessuno la sentisse.
Per questo la sua casa aveva intorno un muro assurdamente alto, tutto ricoperto da buganvillee viola belle, ma spinose. Dentro si sentiva sicura.
Ma un giovanotto, che l’aveva vista a messa, piano piano fece un buchino nel muro col trapano e da lì la guardava giocare con la gatta, la sentiva ridere e cantare e sospirava, sospirava.
Per vedere meglio ogni giorno allargava il buchino, che diventò prima un buco e dopo un varco. Una mattina il giovanotto si trovò dentro e, prima di accorgersene, le si dichiarò ginocchioni.
Smarrita, lei si accorse del buco e gli chiese se non sarebbe stato più semplice suonare il campanello.
Scoppiarono a ridere insieme. Egli era uno stallone moro, con robusti pettorali e zoccoli scalpitanti, faceva un magnifico vedere accanto a lei, un po’ più piccola e tutta bianca con graziose striature argentee qua e là.
<Posso offrirti un caffè ?> gli chiese emozionata, poiché non sapeva come trattenerlo.
Il giovanotto sedette, composto, sul divano, con gli occhi ardenti che sembrava gli dovessero schizzare fuori dalle orbite. Prese la tazzina di porcellana, quella con il cavallo che saltava, gli tremavano le zampe e si affogò un poco nel bere.
Non osò sfiorarle la criniera, che lei quel giorno aveva sciolto sulla schiena.
Prima di andarsene promise che l’indomani avrebbe portato il cemento per tappare il buco e, da ora in poi, avrebbe suonato il campanello.
Domenica Luise
🙂 sono sicura che la poetessa radiosa parlava non solo con i gatti, ma anche con le piante!!
Un abbraccio altrettanto radioso
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Sì, sì, anche con le piante. Debbo andare a confortarne una che langue…
Ricambio l’abbraccio.
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Continua così, con la tua luce e con le tue belle storie morali.
Chissà che qualcuno non ne venga illuminato a sua volta…
E anche se io ho poca speranza che accada, è giusto però confidare in qualche umano miracolo.
abbraccio
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Sì, bisogna sperare: per vivere.
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Un lieto fine meritato per questa splendida poetessa radiosa.
Meglio soli che mali accompagnati, è proprio vero e i vicini pettegoli
si accorgono troppo tardi di aver esagerato.
Bellissima favola e quanta grinta nella scrittura !!
Che donna la nostra Mimma !!!
Ovvio che per te gli uomini comuni non vanno bene, ce ne vorrebbe uno speciale come te, ma tu l’hai già trovato, come so!
Kiss speciali
Paola M
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Paola, benvenuta, benvenutissima, evviva. Tutta la fiaba vuole lanciare un solo messaggio: mai rassegnarsi, adattarsi accettando una vita mediocre. Poi, talvolta il matrimonio parte in bellezza e fallisce oppure parte in sordina e migliora, non si sa, ma io credo che già iniziare una vita nuova con una persona spenta come il cavallo omuncolo del quale si parla, sia sconsigliabile in assoluto. Il fidanzato deve piacere e procurare entusiasmo lei a lui e lui a lei. In quanto ai vicini pettegoli, i discorsi che fanno sono proprio di questo livello. Vivono la vita degli altri poiché non ne hanno una propria. L’altra volta una signora che conosco tentò di spingermi a spettegolare con lei, bussava sempre e si lamentava di una conoscente comune perché, a quanto pare, aveva anche altre amiche oltre a lei. La prima volta sono rimasta sbalordita e forse non sono stata troppo incisiva, ma quando è tornata sempre con lo stesso discorso le ho risposto che faceva bene perché gli amici non vanno a coppia come i fidanzati, così dopo un po’ di visite non è tornata più.
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Bravissima, gran colpo di fioretto,
stoccata elegante ma precisa e penetrante.
TADS
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Grazie, TADS, benvenuto. Io odio la rassegnazione e voglio proclamarlo.
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ti adoro Mimma, le tue favole sono meravigliose e piene di grazia, anche quando descrivono personaggi piccoli di mente e cuore e meschini; favole coraggiose e belle come te.
Un abbraccio meravigliosa donna radiosa
mire
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Ricambio tutte le cose belle che mi dici perché le penso e le sento nei tuoi confronti. Sei molto vicina alla mia sensibilità.
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Che fantastica storia.
Da queste righe si legge il tuo cuore; dolce e pieno di gioia.
Quanto sei brava hai scritto una fiaba piena di allegria, di altruismo, di buona volontà e sopratutto di speranza, perché con quella nel cuore si può tentare di cambiare il mondo e la vita!! Ed è per questo forse che tutto va nel modo migliore e a lieto fine.
Complimenti Dominique sei favolosa.
♥ vany
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Grazie della tua presenza e per queste parole di gradimento, cara Vany. Di recente una mia giovane amica, vergognosamente raggirata dall’uomo che credeva di amare e che l’amasse, ha trovato un ragazzo che le dimostra continuamente un amore autentico: così non deve più né adattarsi né accontentarsi, adesso è serena, felice e contenta ed io esulto. La speranza, talvolta, precede i desideri più azzardati. Auguro a tutte le ragazze e le persone care che passano di qui una uguale realizzazione.
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Mi è piaciuta veramente tantissimo la tua storia!E’ proprio di quelle che piacciono a me, dove i buoni vengono ricompensati. E quei vicini pettegoli…quanti ne conosco! Sempre a criticare, salvo lodare quando le persone sono ormai lontane.
Per fortuna la tua giovane amica ha capito in tempo di quale pasta fosse fatto il fidanzato e non si è lasciata imbrogliare. Quanti matrimoni finiscono in fretta al cadere delle maschere! Le persone sincere, che si mostrano per quello che sono e amano davvero sono una garanzia per una felice e duratura unione.
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Sì, Katherine: il matrimonio di vero amore è già difficile, figuriamoci partendo adeguandosi piangendo a quella che sembra una necessità perché ci pare di restare indietro o che non potremo avere più quello che desideriamo. Il principe azzurro che salva Cenerentola dalla matrigna e dalle sorellastre è ormai fuori moda da un bel po’, ormai ci salviamo da sole, studiamo, lavoriamo e sappiamo pure gestire la casa e il giardino con l’aiuto delle nuove tecnologie: forni, surgelatori, robot tutto fare che spazzano i pavimenti e tornano docilmente accanto alla presa elettrica da dove sono partiti. Berta ha smesso di filare e attendere, ci siamo rimboccate le maniche, non rinunciamo nemmeno ad un’ora tutta nostra per creare poesia. In cambio il maschio si è dovuto rassegnare non ad una perdita di ruolo, ma ad aiutare in casa senza diventare improvvisamente imbalsamato quando c’è bisogno di apparecchiare la tavola.
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Una storia bellissima a lieto fine, dove gli spunti da cogliere sono tanti. L’insensibilità della gente, la mediocrità, la superficialità nelle valutazioni, è ciò che accade e la bella poetessa ha cercato lontano dai familiari la sua felicità.
Che dire, Mimma, il fidanzato precedente antipatico, poco galante e maleducato ha fatto la fine che si meritava. La vita premia chi non si accontenta ed è ciò che è toccato alla poetessa.
Bravissima come sempre.
un bacione
annamaria
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Sì, cara Annamaria, a lieto fine per fare capire alle ragazze che, se è andata male una storia, al mondo ci sono tanti bravissimi giovanotti, non facciamo di tutte le erbe un triste fascio per alimentare il rogo delle nostre paure. Ho voluto puntualizzare un quadro generale dei pettegolezzi perché, quand’ero ragazza, mi è capitato di ascoltarli, ero piccola eppure arrossivo senza potere intervenire, purtroppo noi donne, se non stiamo attente, tendiamo a parlare troppo. Per invidia della giovinezza altrui, della bellezza e del talento se ne dicono e fanno tante, peggio per loro: ogni cattiveria ritorna sempre al mittente proprio come ogni amore.
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io non direi che la prima storia è andata male, direi invece che la poetessa radiosa è uscita sana e salva da sotto un carro! Certo, ha avuto coraggio nello sfidare il vicinato e il parentado, ragionando con la sua testa e galeotto fu quel caffè offerto all’omuncolo che le aprì gli occhi e le permise poi di conoscere un sentimento diverso e intriso di delicata emozione e di allegria.
Complimenti Mimma per il racconto: liscio, veloce, serrato, senza fronzoli e con tante verità dentro.
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Ed io spero, cara Maria Rosaria, che molte ragazze facciano quella stessa scelta coraggiosa e si salvino da sotto il carro. Vedo troppi matrimoni da adattamento, è già molto difficile mantenersi moderatamente in equilibrio partendo con un vero amore, non accontentatevi, vi prego: il ragazzo vi deve entusiasmare o è meglio restare sole, si soffre di meno. Aspirate alla felicità anche usando sempre la ragione.
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La metafora uomini-cavalli mi ha oltremodo divertito. Sei stata bravissima. Poi, il buchino fatto con il trapano, mi ha ricordato quando mio figlio adolescente lo fece davvero, per gli stessi motivi, in un tucul di Palinuro…insomma l’immaginazione racconta verità. Auguri sinceri alla poetessa radiosa (che per certi versi mi assomiglia).
ciao
franca
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Questa è bellissima… che tuo figlio si sia fatto il buchino col trapano per guardare colei che gli piaceva. Certo che le poetesse si assomigliano: sono radiose ognuna nel proprio quotidiano.
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L’anonimo di cui sopra sono io, Mimma.
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Conosco un omone, un tipo bravo e bello (e pure ricco, che non guasta) che però quando è con me si trasforma in un omino, come se io gli tirassi fuori il peggio. Proprio il contrario di quello che dev’essere l’amore. Penso che lascerò perdere, dopo tanto tira e molla. Mi dispiace per lui
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Io, al tuo posto, non mi dispiacerei per lui, ma per il tempo che hai sprecato. Sono molti i maschi che, una volta divenuti mariti, si comportano in questo modo fino a che la moglie li lascia al loro destino idiota. Se poi non siete nemmeno sposati, bruttissimo segno che ti tratti con tanta malevolenza. Il momento di nervi e la gridata capitano in tutte le coppie,. ma se vedi che manca il rispetto mandalo in liquidazione senza rimpianti.
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Sei veramente brava.
OT Il dipinto del template è magnifico.
Un caro saluto.
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Grazie, Alessandra. Il dipinto del template è un mio quadro a olio, poiché nei miei blog non prendo niente da internet, ma uso soltanto immagini mie oppure degli amici (tutte firmate) che mi hanno autorizzata , quando metto soltanto il testo l’articolo o la fiaba o quello che è non sembra sguarnito.
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