TU

 

Gli occhi di una bimba così innocenti e
quel suo raro riso di gioia, un’onda del  mio sangue
che rimane vivo zampillante bello
e pieno di speranza. Le nostre vite
si sfiorano ancora
e ancora.

Così  al buio
corrisponde la potenza nuova
e al tremore la danza e al nulla
il tuo nome e forse il nomignolo
soltanto nostro
con cui ti chiamerei.

Perché avrei cento vezzeggiativi
fra i quali scegliere e giocare. Cuffiette
di velo color panna
ricamate, ciucci a volontà
che tu spargi, e grandi pianti
e pannolini: hai un’ugola d’oro, forse
futura soprano o soltanto monella
o quello che sei. Piccola tiranna
e bambola vivente chiacchierona.

Domenica Luise

Che possiate sempre vivere felici anche quando le cose non sono facili,
un augurio per tutta la famiglia: a mia sorella Iole Luise,
a mio cognato Giuseppe Crisafulli, nonni entusiasmati,
a mia nipote Mariachiara Crisafulli e suo marito Cesare Geraci e la propria famiglia
con gli altri nonni, zii e zie, a mio nipote Giovanni Crisafulli,
fratello di Mariachiara ed anch’egli zio della piccolina per la quale stravede
e per ultima anche a me, zia e prozia innamorata della bimbina,
sì, bimbina mi piace, e non è un errore di ortografia.

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Tango della gelosia

coppia spagnola

Egli era innamorato cotto di quella bellissima donna che inaspettatamente gli aveva detto di sì: corto e tozzo, non bello, pieno di salute e di energia fisica, è vero, ma nemmeno ricco: faceva il postino. Suo punto debole era la gelosia, che però nascondeva accuratamente per paura di perderla, Angela è anche più intelligente di me, pensava sempre.
Angela era infermiera specializzata nel reparto pediatrico e quindi stava coi bimbi
notte e giorno quando lavorava, ma ciò che lo tormentava erano i colleghi stupidi e le colleghe curiose, le risate che aveva sentito quando era passato dal suo reparto, una volta sola e parecchi mesi prima, per rendersi conto della situazione e lei subito l’aveva abbracciato dicendo: -Mio marito- col tono di annunciare il principe azzurro dei cartoni animati di una volta, bello, buono e intrepido.
E se mi prendesse in giro chissà per quale motivo, come vediamo nei film che sempre trasmettono?
Ma i giorni davvero infernali erano quando lui lavorava e lei era libera a casa: chissà cosa fa, con chi parla, cosa pensa di me.
E cercava di compensarla con un regalino: la rosa rossa, la bambola mignon di porcellana, il portachiavi sfizioso, quello che poteva, lui misero.
Il modo in cui lei l’accoglieva al rientro, cingendolo nell’odore del buon cibo che aveva preparato, gli dava momentaneamente un po’ di pace. Le aveva montato una vetrinetta dove Angela teneva le bomboniere che in ospedale le regalavano i genitori dei bimbi e tutte le carabattole che le portava lui, sua moglie spolverava sempre quelle piccole cose e sembrava tenerci molto.
Come sarebbe bello se fosse vero, pensava.
In tanti l’avevano desiderata: medici, infermieri, portantini e anche i capi dei capi. Perché ha sposato me?
Magari i capi dei capi erano brutti come lui, anche più vecchi, ma avevano i soldi.
Quando si amavano lei era ardente, anche quelli erano momenti di pace, un culmine.
Egli temeva sempre di schiacciarla col suo peso, stava attento e la sfiorava con carezze delicatissime, talora gli usciva una lacrima commosso che Angela stesse lì con lui e sembrasse contenta.
Come poteva essere vero?
Quella sera, vigilia di Pasqua, ne era più sicuro che mai: l’ingannava, non c’erano dubbi.
Sentiva anche l’ira montargli dentro, un’esperienza rara per lui, che era un uomo calmo, incapace di prepotenze.
Se mi tradisce l’ammazzo, pensò, e subito dopo: Se mi tradisce le chiedo perdono per quello che sono, e dopo mi ammazzo.
Quando lei lo cinse nell’abbraccio solito al suo apparire sulla soglia percepì subito che c’era qualcosa di nuovo. Ecco, adesso me lo dice: c’è un altro ricco, bello e fortunato.
Lei lo stringeva e sembrava che non potesse parlare o non osasse.
Egli provò un po’ di pace e gli uscì quella lacrima che sempre gli veniva. Lasciò che scorresse e la carezzò toccandola appena, stavolta le aveva portato uno zircone montato in un sottile cuore d’oro.
Si rallegrò della spesa che aveva fatto e mise la mano in tasca a prendere il pacchetto quando lei disse: -Tesoro, aspettiamo un bambino.
-Un figlio mio, sei sicura- balbettò, -è proprio mio?
-E di chi volevi che fosse, sei tu l’uomo che amo.
Gli venne un’altra lacrima nell’altro occhio, il pacchetto con lo zircone cadde a terra, lei si chinò rapidamente e lo raccolse.
-Non fare sforzi- gridò lui. E le aprì quelle tozze braccia felici.

Domenica Luise

(Disegno a china di Domenica Luise)

Compleanno di Domenica Luise, detta Mimma

Violette blog

Il tempo, il come e il dove (lo spazio) hanno una specie di infinito nel quale procedono.
Ma quando avviene l’inizio del tempo, e c’è mai stato?
Io sono nata il 18 febbraio del secolo scorso, da allora ho preso sempre più (o meno) coscienza e adesso sono anzianotta, c’è stato un inizio, la nascita, e si avvicina una fine prossima, ma il tempo totale quando è iniziato? E se non è iniziato è un assoluto in sè? Ed è circolare oppure retto, che non finisce mai davanti a sè o non finisce mai nemmeno dietro di sè? Oppure è sferico?
E come tutto ciò è avvenuto, chi è stato? L’universo sembra avere un’intelligenza matematica, anzi molte intelligenze matematiche interagenti complicatissime, che sono fondamentalmente semplici, o almeno così intuisco confusamente guardando più dentro che fuori di me. Perché fuori vedo tanti puntini luminosi, la luna e il sole, al massimo una cometa che va e torna a tempo stabilito: troppo poco per la mia sete di verità.
Il big bang non è una causa, ma l’effetto di qualche altra causa ignota. Se io faccio un minestrone è vero che ho tagliato le verdure e cucinato un piatto da portare in tavola, ma prima ho dovuto raccogliere la lattuga e i piselli nell’orto e prima c’erano i semi e prima ancora altre verdura e così via risalendo.
Qual è la causa prima, l’origine, la Verdura a lettera maiuscola, l’incontro armonico di fede e scienza con l’evoluzione sacra della natura? Per me si sono ammazzati vanamente, religiosi e scienziati, sulla teoria dell’evoluzione: non ci vedo contrasto e non ne ho mai visto, soltanto che la vita procede stranamente. È l’avverbio corretto per il pensiero che mi gira sempre nella testa.
E si tratta di una creazione colossale di un Dio incontenibile, che va fuori di sè per amore e gioia, oppure la natura mutevole e caduca può essere essa stessa un Dio in sè, storto e bello? Ecco tutti i panteismi e i monismi: ognuno crede come si sente secondo abitudini, tradizioni, esperienze di vita e nessuno può ridere dell’altro, non si fa tra persone civili.
Sappiamo così poco da essere nulla e finora i più grandi geni e studiosi hanno capito l’effetto di un effetto.  La fede, certo, va oltre, ma poi si disperde in mille e una credenze tutte diverse, che si avvicinano tanto al formalismo superstizioso.                                                   Le reliquie, i capelli di questa o quella santa, il dente di quell’altro santo, le case trasportate dagli angeli e le schegge della croce di Gesù: per me è tutto secondario perché i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità (Giovanni, 4-24)  più che nei luoghi di culto, in chiesa o nella sinagoga.
Dio è amore per tutti, anche per i non credenti. Ognuno segua la sua fede o non fede, abbia pure fiducia nelle visioni e nei miracoli, ma non perda di vista l’amore, che è l’unica verità.Siamo tutti liberi e degni di rispetto, cattolici o maomettani o pagani.
Restiamo stupiti dinanzi al mistero ignoto dentro e intorno a noi, che la più alta poesia e la più grande conoscenza scientifica, fisica e matematica riescono appena a balbettare.

Domenica Luise

(Fotografia di Domenica Luise)

Pranzo di Natale fra vent’anni

Natale 2015

Tanto si ammazzarono gli uni contro gli altri fino a che, in mezzo alle macerie,  rimasero due aspiranti tiranni mondiali: sua altezza onnipotente Ninuzzo e signora e sua grassezza onnipotente Bucciabaccia con moglie. Il medio ceto o ciò che ne era rimasto, divorato dalle tasse, lavorava dal mattino alla sera e anche la notte, mangiava poco, risparmiava per i figli e pagava i debiti facendo altri debiti a interessi sempre più alti. Anche i due tiranni mondiali avevano figlie e figli propri e varie mogli, conviventi e amanti o amiche, ognuna con altri figli di primo, secondo e perlomeno terzo letto, ogni figlio aveva altri figli e a Natale c’era un gran pranzo di famiglia dei due tiranni tutti assieme felici e contenti, come ognuno di loro affermava.
Sorridendo dalla testa ai piedi Ninuzzo proclamava che Bucciabaccia avrebbe dovuto prendere il potere assoluto e che egli sarebbe diventato il suo più fedele servitore, anche Bucciabaccia diceva lo stesso dell’avversario e intanto, nell’ombra, ognuno dei due complottava alla ricerca di un killer per fare fuori l’altro a qualunque prezzo, ma quasi tutti i killer erano morti ammazzati e i pochi rimasti si godevano la pensione in un paese di sole sia pure diroccato, anzi le pensioni erano due perché ognuno dei tiranni mondiali gliela doveva pagare se non voleva finire rapidamente come tutti gli altri.
-Possibile che tu non sia capace di fare fuori quel cretino?- dicevano le rispettive mogli dal mattino alla sera e anche la notte parlando nel sonno.
-Cara, tu sai che non mi posso esporre, il popolo non è scemo come sembra- rispondevano i mariti rigirandosi i pollici.
-Ma dov’è questo popolo?
-Bucciabaccia li ha ammazzati tutti.
-Ninuzzo li ha ammazzati tutti.
-Sono rimasti in quattro gatti e perfino malati infetti, che non stanno in piedi (in realtà era fame).
-Ma tu sai che malattia hanno?
-Nessuno può dirlo, hanno distrutto tutti gli ospedali, non ci sono più nemmeno gli apparecchi per misurare la pressione né per fare le analisi.
-Io mi sento benone- dicevano Bucciabaccia e famiglia allargata.
-Io mi sento benone- dicevano Ninuzzo e famiglia allungata.
In televisione trasmettevano ogni cosa che si possa desiderare, sport di tutti i generi con film di violenza e horror per i signori e ricette di cucina, moda, belletti e telenovele per le signore, poi c’erano pure le femmine sportive e i maschi che facevano gli chef, per non parlare dei giochini con folli guadagni che quasi nessuno riusciva a portarsi via. L’unico lusso concesso al medio ceto, poiché pagava le tasse, era l’apparecchio televisivo, che veniva finanche regalato dallo stato a chi non poteva comprarselo, o sennò come gli avrebbero raccontato tutto quello che volevano? E che festa quando nelle stamberghe entrava quello strumento di plastica grigia, i poveri si mettevano lì davanti e stavano con le labbra penzoloni anche se dopo un poco gli veniva qualche dubbio.
I due tiranni mondiali e le loro mogli erano convinti che si sarebbero sentiti felici se fossero rimasti da soli al comando e non pensavano più a cos’era successo a Roma ai tempi di Nerone.
Ormai parlavano quasi tutti una lingua mondiale inglesizzata molto più semplice, a Bucciabaccia questa cosa scocciava non poco, così decise di rompere gli indugi e, cogliendo l’occasione del pranzo di Natale, pensò di liquidare il rivale con un coltello da cucina di quelli che servono per disossare il pollo affinché nessuno sentisse il rumore degli spari. In quanto a Ninuzzo rubò una rivoltella a un poliziotto che era morto in un vicolo nella solita sparatoria, ne cancellò la matricola con una grossa lima che gli serviva per i suoi lavoretti di idraulico, la caricò  e attraverso un cuscino che fungesse da silenziatore sparò al rivale proprio nell’attimo in cui gli si avventava contro colpendolo al cuore con il coltello. E caddero insieme uno sull’altro, subito accorsero i rispettivi devoti e dopo litigi vari tra parenti e acquisiti, si formò un comitato democratico per l’elezione dell’unico tiranno mondiale di cui si sentiva un disperato bisogno perché finalmente prendesse decisioni e programmasse l’ordine nuovo di cui tutti parlavano senza sapere cosa fosse. Per verità storica debbo aggiungere che ognuno dei cinquecentodue parenti aspirava a diventare il solo padrone con qualunque mezzo, tradimento, arma bianca o nera che fosse. Fu così che festeggiarono il Natale quell’anno.
Gli unici che non si presentarono per ereditare furono Giuseppe, il falegname, che si diceva in giro fosse discendente , nientemeno, della stirpe di Davide, e Maria, sua sposa, incinta grossa dopo la visione di un arcangelo e uno strano annuncio, per chi ci voleva credere. I due giovani si misero in viaggio perché il re Erode stava contando tutti i sudditi voglioso di capire quanto potesse spremerci e anche loro dovevano essere schedati, così lei partorì in una stalla abbandonata, dietro un masso, alla luce di una stella e si sentì un vagito vivo e prepotente in mezzo alle sparatorie e alle umane bugie.
Era nato anche stavolta. Da sotto le scrivanie e i tavolini sbucarono gli ostaggi scampati ai massacri e gli portarono quello che avevano: pane, acqua e un fuocherello.

Domenica Luise

(Disegno di Domenica Luise)

Una stella lontano lontano

Natale nevoso 1

Alla chiusura del forno le davano i pezzi avanzati invece di buttarli nella spazzatura, la vecchia sorrideva senza denti e ringraziava. Il garzone del bar, tutte le mattine, le preparava il cappuccino caldo d’inverno e la granita di limone in estate per una strana seduzione arguta che emanava da quella cenciosa, per quanto pulita, ma lei non accettò mai la brioche fresca che egli le offriva, ci si inzuppava il pane o la pizza della sera prima e socchiudeva gli occhi beata mormorando: buonissimo! Delizioso. Grazie, Gesù.
Non sapeva che quel ragazzo pagava di tasca propria la consumazione perché il proprietario si girasse dall’altra parte e facesse finta di non vederla.
Adesso era inverno, quasi Natale, e le era venuta un po’ di tosse. Ma io sono forte, pensò, mi bevo il caffelatte buono del bar col pane e mi sento subito meglio.
Invece il dolore nel petto aumentava.
Poi vado alla mia panchina, ho sonno.
Era diventata  piccina lei, che era stata la cicciona della famiglia, le spalle accartocciate, le dita dei piedi e delle mani storte e il fuoco nelle articolazioni. Ricordava l’elegante bastone del nonno, col pomello d’avorio, e papà e mamma, ancora insieme, quando cavalcavano ed erano belli, sani, ricchi e felici. Poi la mamma fuggì chissà dove e chissà con chi e perché e forse era colpa sua: era lampante che nessuno le voleva più bene, non il nonno, che non le rivolgeva mai la parola né le sorrideva, non il papà, che non tornava mai e nemmeno telefonava, non le sue compagne di studi, che non poteva più invitare in quella casa dove si divertivano perché era grande come un castello e si mangiava sempre e se ti portavi via un soprammobile d’argento nessuno ci faceva caso.
Ormai non sono più grassa pensò infilandosi sotto la panchina, fra stracci e giornali vecchi. Incominciò a nevicare.
Lei era dietro i vetri a guardare i fiocchi che volteggiavano, il caminetto era acceso, il nonno zitto ed era il giorno di Natale. Da quando la nuora era fuggita non aveva più fatto il presepio. Fuori qualcuno cantava i cori di sempre, che arrivavano a onde ovattate.
Una volta era la prima della classe e scriveva poesie, tutti la lodavano. Natale era un trionfo. Venivano papà e mamma a prenderla fino al collegio di lusso, in Svizzera, dove studiava.
Adesso stava sotto una panchina e aveva tutta quella stanchezza.
Qualcuno passò e buttò rapidamente una borsa di plastica bella grande proprio lì accanto, sentì che diceva: -Finalmente me ne sono liberato-, guardò con la coda dell’occhio, era una buona borsa resistente, che le sarebbe tornata utile e poi si sa, anche da vecchia la curiosità è femmina, chissà cosa c’era dentro?
Uscì dal suo posto invisibile e vide che avevano buttato un presepio completo nuovissimo e bello.
Accarezzò la Madonna, san Giuseppe e il bambino, gli angeli, i pastori con le pecore, la lavandaia, lo zampognaro e per ultima la stella, che perdeva i lustrini bianchi come quella di quando era piccola e le piaceva sempre toccarla coi ditini curiosi. Poi incominciò a fare il presepio sulla panchina e vide che aveva le mani blu, ma non le importava, suonò forte la campana della chiesa, sentì una delizia strana in corpo e anima.

Natale nevoso 2

Aprì gli occhi e vide che si trovava in un letto vero, pulitissimo e caldo, al braccio le avevano attaccato una flebo e portava un pigiama a fiori. Qualcuno mi ha trovata, pensò. Devo ringraziarli, mi hanno salvato la vita. Forse sono svenuta.
Sentì che dicevano: appena in tempo.
Girò la testa, ma non le uscì la voce per chiamare.
Entrò una ragazza vestita da pagliaccio, con un gran naso rosso e la parrucca gialla: -Ma non vedete che si è svegliata? Come si sente, signora? Ci ha fatto prendere una bella paura, per sollevarla ho dovuto chiamare le forze dell’ordine, sono la sua salvatrice, l’ho vista io lì per terra, ah, ah, ah, sono vestita così perché faccio la volontaria qui per divertire i bambini malati.
-Dall’odore di disinfettante mi accorgo che sono in ospedale e non in paradiso- rispose lei annusando intorno, tutti risero.
-Stava facendo il presepio sulla panchina sotto la neve con statuine rarissime del settecento perfettamente conservate, dove le ha prese?- le chiese uno che sembrava un carabiniere, così la vecchina gli raccontò che le avevano appena buttate, le era piaciuta la borsa e si era messa a fare il presepio come quand’era piccola e il nonno aveva il bastone col pomello d’avorio e mamma e papà cavalcavano felici e a Natale c’era un presepio grande, con la stella piena di lustrini che lei toccava sempre.
I medici, il carabiniere, le infermiere e la ragazza vestita da pagliaccio si guardarono perplessi: poverina, vaneggiava.
Il carabiniere disse: -Lo sa che quelle statuine valgono un patrimonio? Adesso lei è ricca.
-Allora posso donare il presepio alla nostra chiesetta perché tutti lo vedano?- chiese la vecchia signora pensando di tornare alla panchina e ai suoi stracci per quel poco che le restava, ma:
-E noi l’ospiteremo- le rispose il prete subito accorso, -la cureremo e vivrà nella nostra famiglia. Qual è il suo nome?

Domenica Luise

(Presepio con neve di
cotone fatto da Domenica Luise nell’anno 2015, fotografie e computergrafica di Domenica Luise)

Fiore di cactus notturno

La bellezza della natura 1

Da oggi voglio pubblicare le fotografie più belle della natura che mi trovo intorno, questa l’ho scattata nell’estate scorsa, poteva essere poco più di mezzanotte: con la mano sinistra reggevo l’enorme fiore di cactus, che si era piegato tutto verso terra trascinato dal proprio stesso peso e con quella destra ho lanciato una serie di foto sperando di avere fortuna, nel frattempo continuava a piovigginare. L’indomani mattina era già secco. Mi trovavo nel giardino fuori dal portone.
La terra sulla quale ruotiamo nell’immensità è la nostra casa: amiamola, difendiamola, ammiriamone gli splendori, smettiamo di sprecarla.
Viviamo con coraggio e gioia malgrado tutto.
Domenica Luise

(Fotografia di Domenica Luise)

Atto d’accusa

Con il mutamento climatico e l’avanzata dell’umidità tutto l’ospedale è pieno di zanzare estate e inverno. Prima dell’operazione mi difendevo a schiaffoni, ma dopo sono costretta immobile per due giorni nel letto.
L’operazione è andata bene, il professore è stato grande. Mi hanno fatto l’epidurale perché i miei polmoni, dopo le embolie incassate vent’anni fa, potevano avere problemi con un’anestesia generale vera e propria. Così abbiamo chiacchierato in diretta e mi hanno spiegato tutto quello che facevano, mi sarei volentieri risparmiata l’intervento, ma c’era un prolasso uterino col quale non potevo convivere e me ne dovevo liberare volente o nolente.
Vedevo le mie gambe immobili davanti a me come se non mi appartenessero. Le hanno infilate in due buffi salsicciotti blu  imbottiti di aria calda, che contemporaneamente un altro medico aveva cura di pompare anche sul mio corpo lateralmente con un tubo. Difatti io, dopo l’operazione, non ho sentito freddo, sono stata bene.
Sono uscita da lì dentro sveglia e contenta che fosse finita, a questo punto mi hanno abbandonata in una stanzetta da sola, gli infermieri ridevano e giocavano nella loro zona coi propri smartphone, ero sveglia e li sentivo. Il pulsante per chiamare ondeggiava irraggiungibile, tanto ho fatto torcendomi che l’ho agganciato col tubo della mia stessa flebo e me lo sono avvicinato. Ancora non sapevo che quei tipi di flebo non permettono comunque all’aria di entrare in vena.
Sono stata lì dentro per ore mentre gli schiamazzi continuavano, alla fine hanno riportato in camera una Mimma furibonda, che ha mandato via energicamente il cognato e l’amica del cuore di mia sorella Iole, accorsa per starle vicino, in questi termini: -E voi che fate qui? Andatevene a casa-, volevo dire a pranzare, ma a quell’ora del pomeriggio si poteva pensare già piuttosto a preparare la cena. Perché così è la vita su questa terra: un intervallo fra un pasto e l’altro.
Nella stanza era ricoverata con me una signora più anziana, per quella notte, che per lei era la seconda e per me la prima dopo l’operazione, siamo state assistite entrambe dalla mia amica Enza, che ha sostituito Iole, ormai giunta ai limiti delle forze. Senza di lei la mia vicina di letto sarebbe stata persa. Enza ha passato le ore ammazzando zanzare e fissando le flebo per chiamarli quando finivano, alla fine si è addormentata con la faccia  sulle mie coperte ed era già mattina ed è arrivata nuovamente Iole.
Io stavo benino, poco dopo è passato il professore coi medici al seguito e mi sono congratulata  per l’ottimo lavoro, loro felicissimi e sorridenti.
L’indomani mattina due infermiere, che davanti ai medici cambiavano faccia, hanno coperto me e la mia compagna di camera con derisioni e volgarità, noi immobili a letto, sporche, nude pronte da visitare a qualunque occhio puro e impuro, da girare e aprire come Gesù in croce. Si sono infilate entrambe sotto la divisa il cartellino con nome e cognome e da quelle boccucce di rosa è uscita tutta la malvagità umana e poco importava che io fossi una professoressa operata dal loro stesso capo e quell’altra madre di medico, eravamo inermi nelle loro mani. E mentre stavamo lì è entrato a dare uno sguardo un loro degno amico con cui hanno scambiato battute vergognose.
Sono stata operata mercoledì sette ottobre 2015 e dimessa al volo domenica mattina undici ottobre, non è stato possibile finire l’ultima flebo perché si è perduta la vena e tutti i tentativi di acchiapparne un’altra sono stati vani.
Oggi dovrei prenotare la visita di controllo a un mese dall’intervento e non ci vado né telefono né niente: non mi sogno di farmi nuovamente scoperchiare da chissà chi. Io sto bene, per quanto sia debolissima e abbia poca forza anche per parlare. La mia solita igiene semplice ha fatto miracoli.
Non è lecito permettere l’uso degli smartphone in ospedale. Bisogna proibirli. In ospedale si lavori se non per amore almeno per paura di essere denunciati.
Immediatamente ho riferito quello che era avvenuto a due infermiere e a una dottoressa ed ho fatto sapere tutt’intorno che l’avrei detto al professore.
Quando la prima serie di star trek arrivò in Italia anch’io mi appassionai alla vicende del capitano Kirk e del signor Spock, il vulcaniano dalle strane orecchie: allora ero una giovane insegnante all’istituto professionale di Barcellona, non quella spagnola, naturalmente, un paese piuttosto vicino al mio, raggiungibile quotidianamente con il trenino oppure l’autobus.
Il pomeriggio guardavo quelle vicende ambientate nel futuro e tra quei personaggi vedevo l’amicizia, non si abbandonavano mai in mano ai nemici, tanto facevano da uscirne vivi e vincenti. Ricordo una puntata di quella prima serie, tutti si erano appassionati ad un gioco che li istupidiva e salendo di livello in livello stavano sempre immersi in quelle fantasie non bene identificate. La presi come un’improbabilità assoluta ed invece era storia. Il film lasciava immaginare chissà quali piaceri dello spirito pestando sempre quei tasti fino ad una condizione letteralmente fuori dalla realtà, oggi è quello che sta avvenendo qua intorno con l’uso e l’abuso degli smartphone. In pratica la vita reale viene subordinata a quella virtuale, ma debbo essere sincera: non mi pare che sui social network ci siano questi piaceri supremi, gli amici di internet vanno e vengono, aprono e chiudono, cambiano nome e si nascondono, spesso e volentieri si manifestano di poche vedute, interessati unicamente a se stessi e alla propria, piccola cerchia. Direi che internet può essere noiosa come la vita concreta, non c’è nulla di più e nulla di meno. E quante bugie dapertutto, ma non si vergognano di guardarsi allo specchio al mattino quando si sbarbano e si lisciano i maschi e quando si imbellettano le femmine prima di iniziare la propria giornata. Non posso vivere così.
Una volta si parlava della pecora nera come dell’eccezione, adesso è tutto il contrario. L’eccezione è diventata la pecora bianca, che semplicemente osa compiere il proprio dovere di persona senza imbrogliare ad ogni passo.
Nessuno sembra accorgersi che il pianeta si avvia ad un’unica lingua tanto semplice quanto banale: l’inglese. Si lamentano dei dialetti che muoiono e non si accorgono dell’italiano, quello di Dante, esaltato da Roberto Benigni, che in questo ha fatto un nobilissimo lavoro senza annoiare nessuno e soltanto esaltando. Vorrei salvare la lingua che amo e nella quale è nata la mia passione poetica. I romani, quando sottomettevano un popolo che recalcitrava troppo, gli imponevano la propria lingua, oggi lo stanno facendo come una moda e segno di novità.
Che bellezza. In quanto alle tasse, spremono il medio ceto, sollecitano offerte con ogni scusa servendosi dei canali televisivi e mendicano invece di organizzare un onesto lavoro per chiunque ne abbia la buona volontà e sia capace. Gira e rigira la corruttela generale è sotto gli occhi di tutti e ulula dai telegiornali, anche se certe notizie delicate magari le dicono una volta sola e di notte. Ma poi lo scandalo esplode ugualmente e le bugie non bastano.

Vergogna al mondo.

Domenica Luise

La vita, vita ed altra vita

fresie 1

Poni i voli pindarici all’interno dell’essere umano
amor dolore gioco, ed è poesia. L’aia
dove le ballerine danzano
per liberare il grano dalla paglia
e la pietra cava per frantumarlo
a lungo in farina e le pagnotte
con una croce sopra
nel forno antico. Così andiamo
dalla giara dell’olio all’industria
e dal pennino alla tastiera del computer, ma
la partita è sempre quella, stelle e atomi
in moto perpetuo.

Una follia di bellezza delicata
che nasce chissà come, vive chissà perché
e sempre si trasforma
stranamente. Altri rideranno
e piangeranno dopo di me
ed altri piansero e risero
prima e prima. Adesso
s’impone questo giorno
e albeggia. Riprendo sonno.

Domenica Luise

(File di Domenica Luise  da una propria fotografia di fiori)

I misteri dell’Ermetismo: E lasciatemi divertire

Lago blu multiplo 3

L’arte moderna non si capisce: si vive e rivive.

Non tutta è arte, anzi direi che ai tempi attuali ne vedo pochissima, quando è arte non si dimentica, ritorna, s’impone, se invece è una delle cento cretinate alla moda passa subito di mente e lascia insoddisfatti, come se mancasse qualcosa di essenziale.

C’è molto anticonformismo e voglia di nuovo che, da soli, non sono arte.

Non è nemmeno che io c’ero, testimone lo smartphone e le riprese amatoriali sbilenche, ma non è arte il perfezionismo per il perfezionismo.

Ci vuole il gioco ironico, sarcastico, ridente, graffiante, anche sanguinante o l’amore e il dolore umani restano incolori, insapori e inodori senza che l’acqua si trasformi in vino, perché la vera arte inebria e non soltanto disseta.

Già, comunque, studiare e dissetarsi è una cosa eccellente, direi la base di partenza, quando inizi a imparare le quattro operazioni, dopo c’è tutto il mondo della matematica e le novità continue per la mente.

Ma nemmeno la matematica, da sola, è arte, lo diventa quando incominci a stupire e divertirti. Sta lì il lievito che fa alzare la brioche.

Un artista che non se la spassa è un brav’uomo, ma non è un poeta. È uno acculturato, ma non è un poeta. Ci vuole qualcosa di troppo semplice per essere poeti, non solo piangere sulle sorti umane, siamo stufi di lamenti e basta, mescoliamoli con lo spirito di patata e troveremo i germogli giusti della rinascita e le parole della poesia. Però questa è una cosa che non si può costruire razionalmente, o c’è o non c’è, il dono è raro, l’equilibrio della tessitura è instabile eppure dalla stoffa traluce l’anima dell’autore ora di più ora di meno, ma incisivamente. Avete presente il volo della nike di Samotracia? Quella levità, slancio, anelito, gioia del dolore e gioia della gioia è un’immagine plastica della poesia.

Domenica Luise

(File di Domenica Luise)