Il ventaglio

 Quando il prete se ne andava dopo avere celebrato la messa, suor Giovanna
usciva, un pochino zoppicante, per spazzare, spolverare, sistemare i fiori e lavare il pavimento. Soltanto lei poteva passare dalle stanze interne alla chiesetta aperta alla gente: ci voleva un permesso speciale.
Certe volte ci pensava : che una così debole porta la divideva dal “ mondo”.
Più invecchiava e più le veniva la curiosità di sbirciare dal buco della serratura, con la scusa di lucidare i pomi.
Ultimamente era diventata piuttosto svagata e si distraeva con strani pensieri e ricordi, che le venivano anche durante le preghiere.
Come quando era bambina ed erano andati al circo e lei aveva riso davanti ai pagliacci e goduto tanto a vedere gli acrobati. Allora aveva deciso che avrebbe fatto la ballerina perché, su di un giornaletto intitolato “ Bambola “ , aveva letto la storia di Mimosa e Rosita, piccole ballerine.
Era incerta se ballerina o acrobata o magari attrice. Cantante no perché stonata. Attrice tragica, ecco.
C’erano le volte in cui, la domenica pomeriggio, andavano tutti al cinema, mamma, papà e le due figlie. Si usciva rossi di eccitazione, commentando il film.
Allora non c’era la televisione.
Aveva avuto un abitino bianco di sangallo, che la mamma le aveva cavato da un paio   di vecchi mutandoni della nonna.
La stoffa era poca (doveva bastare pure per la sorellina ) e così era stretto e corto, perciò a lei piaceva moltissimo. La mamma ci aveva messo i fiocchetti di velluto blu al collo e alle maniche.
Suor Giovanna arrossì lustrando i candelabri accanto al tabernacolo, pensò : “Scusa, Gesù“, fece la genuflessione, chinò la testa. Le mani le erano diventate rugose e, ultimamente, doveva essere dimagrita perché l’abito le andava più largo.
Le monache di clausura non si specchiano mai e, quindi, non sapeva il proprio viso.
Da una decina d’anni i nipoti non venivano più a trovarla. Questa cosa la pungeva ancora, “ Eppure non ci dovrei tenere così tanto “, pensò.
Raccolse un fazzolettino di carta caduto o buttato in terra e, chinandosi, lo vide.
Era un bellissimo ventaglio bianco, con le stecche di legno traforato e dorato. Al centro una fanciulla, dalle braccia nude sollevate in aria, sorrideva danzando mentre molti giovanotti l’ammiravano e suonavano le chitarre. Lei aveva i capelli al vento e vestiva di bianco a pallini rossi.
La vecchia monaca fissò quella scena di vita molto più a lungo di quanto sarebbe stato logico. Con gesto furtivo nascose il ventaglio nella tasca dell’abito e se lo portò in cella. A settant’anni passati una può anche dare i numeri.
Quando fu sola col ventaglio, esitò un attimo prima di aprirlo ancora.
Quasi di soppiatto lo guardò di nuovo e ricordò il motivo di una canzone molto antica e molto peccaminosa :  La spagnola sa amar così
Forse l’aveva dimenticato in chiesa una ragazza.
Ridacchiò come una monella. Le sarebbe piaciuto tenerselo, ma questo, proprio, non si poteva fare. Dopo cena lo avrebbe consegnato alla madre badessa e l’avrebbero conservato in attesa che la proprietaria lo chiedesse.
Però, però. Poteva fare finta di dimenticarselo e guardarlo ancora prima di dormire. Le faceva uno strano e dolce effetto, alla sua età, di cosa doveva temere?
Il ruvido lenzuolo era diventato un pizzo che le copriva le spalle nude. Lei aveva quasi vent’anni, indossava un abito bianco a pallini rossi ed aveva lasciato sciolti i capelli per danzare nel vento. I ragazzi la guardavano, le sorridevano e lei sorrideva ai ragazzi nel suono fragoroso delle chitarre, e questa era la vita.
Si svegliò madida di sudore ed appena possibile, senza guardare oltre il ventaglio né riaprirlo malgrado la forte voglia, lo consegnò alla madre badessa:
<L’hanno dimenticato ieri in chiesa>, balbettò.
<Si sente male, suor Giovanna?>.

<No, sono solo un po’ stanca>.

<Vada a riposare in cella>.

<Potrei, invece, passeggiare un po’ in giardino?>.

<Ma certo>.
Stavano sbocciando i girasoli, le piacevano tanto, sapevano di vita. C’erano delle belle pesche mature sull’albero. Chiuse gli occhi. Gli uccelli gorgheggiavano, una donna, in lontananza, cantava, non capiva le parole. Qualche volta, dal di fuori, entrava una voce estranea, corposa, nuova. Passionale.
Alzò le braccia e canterellò a modo suo: < La spagnola la, la, la, la!… >, fece un giro su se stessa, poi un altro, poi rise e si accucciò per terra con gli occhi fissi verso l’azzurro dove sfrecciavano le rondini.
Allora si sentì straordinariamente felice perché aveva rinunciato alla vita ed all’amore per un’altra vita ed un altro amore più grandi, ed ancora più felice perché il prezzo era alto e la feriva anche da vecchia. Si toccò due lacrime, che non si era accorta di versare e le bagnarono le guance vizze: il sogno del ballo fra i giovanotti e le chitarre le apparve di nuovo vivido davanti agli occhi, la fanciulla coi capelli al vento continuava a danzare, roteava col suo abito bianco a pallini rossi, roteava e l’abito diveniva tutto bianco, con il velo di sposa, roteava e l’abito diveniva nero, col soggolo bianco e le bende sui bei capelli tagliati così corti, ma il sorriso era lo stesso anche se i giovanotti non c’erano più e la ragazza teneva in mano, al posto del ventaglio così bello, una candela accesa ancora più bella, e adesso lei era immobile, solenne, e quella piccola fiamma della candela palpitava e splendeva tanto da sembrare una stella.
La porta si aprì ed apparve l’amore.
Era una porta troppo lieve. La fanciulla camminò radiosa, anzi scivolò come se volasse in un movimento rapidissimo.
Quando suor Giovanna non arrivò per il pranzo, subito la badessa corse a cercarla in giardino. Stava accucciata, quasi sdraiata, fra il pesco e i girasoli, con gli occhi aperti dritti al cielo ed una risata sul viso.

Domenica Luise

19 pensieri su “Il ventaglio

  1. Bella,bellissima storia di tutta una vita. Chissà che non si oltrepassi la porta comprendendola d’un tratto tutta, la vita!
    Buona domenica, mia cara amica
    Flavia

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    • Benvenuta, Flavia. In fondo la porta che si apre e ci accoglie nella luce è semplicemente una nostra immaginazione: diamo nomi concreti all’inimmaginabile e così ci sentiamo almeno come appesi a un trapezio volante. Quando il mio cuore si è fermato e stavo morendo, mi sono trovata in un tunnel di luce dove levitavo e mi sentivo benissimo, ma non ho avuto, come molti dicono, la vista, in un lampo, di tutta la mia vita. Da allora sono passati vent’anni di vita regalata. Secondo me non ho avuto il tempo di proseguire nel mio contatto con l’al di là, interrotto dal pronto intervento dei medici, ma può essere soltanto quella la prossima mossa: la conoscenza lucida della propria vita. Dopo non lo sa nessuno.

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    • Bianca, mia cara, sono sicura che avremo grandi sorprese, i nostri pensieri comunicheranno, altro che computer e telefoni. Massima libertà, una visione d’amore tutti insieme, nessun limite né dolore: mi voglio proprio divertire insieme a quelli che amo e mi amano, voi compresi.

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  2. E’ spirata felice nella luce divina. Difficile rinunciare alla vita terrena con i suoi piaceri e una scelta così importante, come quella della protagonista della storia, monaca di clausura, a volte porta a dei ripensamenti normali: la carne è tentatrice, ma lei ce l’ha fatta ed ha avuto in premio quella luce paradisiaca.
    Bellissimo racconto.
    un affettuoso saluto
    annamaria

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    • annamaria, benvenuta. Chi guarda i consacrati dall’esterno può capire ben poco, o li sopravvaluta oppure li disprezza dimenticando la loro calda umanità, il bisogno d’amore e di lenire la solitudine che tutti portiamo stampata dentro il nostro profondo. Sì, la carne è tentatrice fino all’ultimo, ed è questa la grandezza umana.

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  3. Commovente e bello questo racconto, essere suora o prete o comunque scegliere di consacrarsi a Dio non significa non capire, non vedere, non sognare…perchè finchè siamo imprigionati in un corpo di carne le cose belle della vita ci attraggono… In questo racconto si capisce bene una cosa tanto importante che si comprende solo quando si invecchia: che l’anima cioè non invecchia di pari passo col nostro corpo… l’anima resta giovane e ci fa vedere e sognare attimi di giovinezza, malgrado le mani rugose, la pelle cadente e i capelli bianchi, l’artrosi e i vari acciacchi. Bello morire col sorriso sulle labbra penetrando fino in fondo in quell’istante il perchè di una scelta che per il mondo può essere mutilante, mentre per lei era stata ragione di vita e scelta di un Amore più grande. Ti voglio bene sorellina, domani ci vediamo. Iole.

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    • Iole, hai scritto un bel commento davvero. L’anima rimane giovane, specialmente negli innocenti, la bellezza e l’amore non sono soltanto due grandi illusioni foscoliane, ma anche il vino potente che ci disseta e dà gioia. La ricerca della felicità è un sacrosanto diritto umano e le cose belle della vita (un bacio d’amore, una danza a braccia nude fra le chitarre e i giovanotti, un figlio che partoriamo nei dolori e un fiore sul ciglio davanti al mio piede) piacciono a tutti noi, alla fine scopriamo che tutto è luce. Grazie per questo bel commento e domattina ti aspetto col caffè..

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  4. bellissimo e commovente in tutti i suoi particolari, e mi ha riportato alla mente Santa madre Teresa di Calcutta, nel travagliato periodo in cui si sentì abbandonata da Dio eppure continuò la sua immane vita misericordiosa e di quella luce che tanto anelava…neppure la fiammella di una candela, credo che non ci sia strazio più grande per un ‘anima devota la paura della perdita del dono della fede, ma spesso Dio ci mette alla prova proprio nelle difficoltà più aspre…chissà poi cosa si potrà trovare oltre quella porta

    ho letto della tua esperienza extra sensoriale, e della pura gioia nel ritornare alla vita, ti senti una privilegiata, o solo una testimone?
    io ho avuto esperienze di déjà-vu molto particolari…ma a volte penso di averle solo immaginate

    provo una grande serenità passando dalla tua casa
    buona giornata, cara, buona giornata

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    • Buona giornata anche a te, mia cara, anzi buona vita. Allora: non mi sento affatto privilegiata perché tutti i figli di Dio sono privilegiati, di qualunque credo o non credo siano. E i figli di Dio sono tutti gli esseri immortali. Molte cose non le possiamo sapere né capire, le domande non finiscono mai, eppure siamo tutti amati ad uno ad uno, in persona.
      Su questo blog mi rendo conto ogni giorno di più che le tenebre e il sentirsi senza fede è cosa comune per cattolici, non cattolici ed atei proclamati.
      È la condizione umana: vediamo troppo poco, l’esperienza di Dio è troppo saltuaria, quando anche c’è. Per questo ci attacchiamo (io non ne sono capace) alle visioni di Lourdes o della ex Jugoslavia, per avere una parola certa, eppure quella parola non basta, nemmeno i miracoli bastano. L’essere umano, a quanto vedo, sa corrispondere soltanto all’amore ricevuto e ricambiato, ma lo vuole “sentire”.
      In questo l’esperienza dei mistici è emblematica: hanno provato qualcosa di indicibile, usano molti superlativi, ma chi non ha “provato” non capisce niente.
      Sicuramente, quando il mio cuore si è fermato, ho avuto un’esperienza forte e ti metto il link perché tu possa leggerla (è stata pubblicata su questo blog nell’agosto 2008):

      Il tunnel di luce


      Quello che scrivo quando l’argomento è definito “testimonianza” è rigorosamente vero.
      Dicono che in quell’attimo si veda lucidamente in un lampo tutta la propria vita: a me non è capitato. Mi hanno ripresa subito a furia di botte e ossigeno.
      Ti posso però confermare che è bellissimo.
      Le esperienze di deja vu sono davvero strane, a me è da un bel po’ che non capitano.
      La serenità che provi quando passi a trovarmi è un buon segno: vuol dire che c’è corrispondenza fra noi e pulizia interiore.

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  5. Mimma dolce, hai scritto una storia che un po’ commuove, ma è bellissima e lascia una sensazione appagante, colorata, dove l’amore è qualcosa di indecifrabile per la sua grandezza e bellezza. La felicità è così, anche in una carezza dell’aria, nell’azzurro del cielo, in un sogno e in un dono prezioso che si porta dentro. Grande Mimmaaaaaaa !

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