Il figlio unico

Leopoldo crebbe prepotente e nevrastenico. In casa comandò lui dapprima coi vagiti, dopo coi capricci e alla fine con le scenate a mamma e papà, che lavoravano mattina, sera e notte per accontentarlo in tutto e dargli ciò che a loro era sempre mancato: cibo, gite, concerti di questo o quel cantante contorsionista che al momento gli piaceva, feste per ogni scusa: compleanno, onomastico, ricorrenze vere o presunte, abiti, accessori, telefonini che sempre dimenticava qui o lì e computer, tablet, provini quando gli venne in mente di fare il cantante lui pure col filino di voce sexy di cui era dotato, così rauco che era un dispiacere starlo a sentire. Unico figlio, si sa.
Con le raccomandazioni riuscì a prendersi il diploma del Professionale per l’industria e l’artigianato anche perché i professori non ne potevano più di vederselo intorno, con quell’aria ebete che assumeva a scuola e perdeva subito a casa. Dopo di che suo padre prese un caffè forte, si rimboccò le maniche e gli fece il discorso serio: voleva andare a lavorare oppure laurearsi?
Leopoldo nicchiò e disse che voleva continuare coi provini, ma era anche stonato e non di poco, le raccomandazioni non bastarono e dopo alcuni anni di vane speranze dovette desistere, allora  passò al tentativo di fare l’attore.
Mah. Nelle scene tragiche gli scappava da ridere e in quelle comiche pure, nelle scene di mezzo gli veniva da sbadigliare e nemmeno qui le raccomandazioni conclusero nulla. Incominciò ad accusare esplicitamente i genitori che non gli volevano bene e non facevano niente per lui, così madre e padre, dopo essersi venduti i quadri antichi e gli ori di famiglia, le terre e la casa, gli misero su il progetto di un suo film, qui Leopoldo era regista, produttore e primo attore, bisognava vedere come faceva filare il cast, adesso i provini li faceva lui agli altri e si divertiva moltissimo: <Le faremo sapere…> prometteva ammiccando alle ragazze e gelido coi maschi.
Dopo di che piazzava i piedi sulla scrivania, davanti al maxi schermo del computer a massima nitidezza, lo accendeva e si metteva a giocare, ma anche quello lo stufava subito. E del resto non si ricordava niente dell’inglese, che a scuola non aveva mai studiato minimamente e poiché tutti i computer parlano inglese,  lui non capiva e cambiava girando qui o lì e beccandosi virus di ogni genere.
L’attrice che aveva scelto per il ruolo della protagonista, appena diciottenne, sembrava quasi una bambina, ma scema non era, lui incominciò a sbaciucchiarla e tastarla sotto la macchina da presa, diceva continuamente che non era sufficientemente sensuale e si ricominciava, dopo una giornata di questi giochini, quando ormai Leopoldo si apprestava a proporle l’onore di una nottata insieme nel proprio appartamento di lusso al grand hotel, la ragazza se ne andò rinunciando alla parte e molte altre la seguirono senza che il film si facesse mai, alla fine dovette pagare ugualmente tutti quelli che avevano lavorato e gli avevano messo un avvocato cattivissimo, così sprecò i soldi di mamma e papà, gli portarono via computer, automobile, telefonino e orologio d’oro massiccio e se ne tornò a casa a farsi consolare per tutte le offese ricevute.  Qui trovò due vecchi decrepiti che non ragionavano più e passavano il proprio tempo a letto con la televisione, una vicina pietosa gli preparava il piatto di pasta e così Leopoldo dovette assisterli, amministrare la pensione  del padre e non gli vollero dare nemmeno l’indennità di accompagnamento perché si sa, i tempi sono duri. Lasciò le feste, la droga, l’alcool e le donne, imparò il risparmio e finalmente nel suo cervello apparve una piccola luce: anche per lui arrivava la coscienza.

Domenica Luise

 

15 pensieri su “Il figlio unico

  1. Meglio tardi che mai!Ma non tutti i figli unici sono così, per fortuna! A me era successo il contrario: mi sono detta da sola dei “NO” proprio perchè non avrei mai voluto dare un dispiacere ai miei genitori!

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  2. I meccanismi del cervello sono spesso oscuri all’istinto e al pensiero.Ma recano disagio e colpa, anch’essi oscuri perchè incoscienti ma già “contaminati”da un vago sentore di coscienza.
    Per arrivare alla coscienza e darle consistenza di valore,il percorso è cosparso più da grosse spine che di petali in odor di santità. Al protagonista del tuo racconto gli serviva questo e nulla più.Non a tutti è dato il cammino dritto e semplice.
    C’è un passo nel Libro del Tao che pressapoco dice così “L’uomo buono,lo tratto con bontà; in questo modo ottengo bontà. L’uomo di buona fede,lo tratto con buona fede,e colui che manca di buona fede,anche lui lo tratto con buona fede”. Mirka

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    • Mirka, è vero che i meccanismi del cervello umano sono, in buona parte, incomprensibili, tuttavia qualcosa si può fare. Viziare i figli significa prepararli ad una via tortuosa di presa di coscienza e comprensione, adattarli, invece, man mano che crescono alle proprie giuste responsabilità significa educarli, ossia portarli su come una pianta, dal latino e (fuori) duco (conduco), dalla terra coltivo, preso in senso traslato.
      La sofferenza è un modo drastico di essere educati, proprio come un albero che, senza potature, non fruttifica bene.

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      • Condivido, Mimma, l’intelligenza è anche capacità di adattarsi, ma se s’impedisce d’esercitarla, come succede a Leopoldo, si disperde e si confonde. Del resto sull’adattamento si basa anche la stessa evoluzione. I genitori tendono spesso, salvo rare eccezioni, a proteggere i figli, ad evitare che subiscano dolori e frustrazioni, ci si rende conto dopo di averli danneggiati per troppo e malinteso amore. Bello il racconto, di piacevolissima lettura. E quel Leopoldo … :
        qualche ricordo scolastico? Ti abbraccio, cara amica, è stato un periodo faticoso ed impegnativo, ma ora sono qui. Flavia

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        • No, Flavia, non sono stati ricordi scolastici, ma il semplice guardarmi intorno. I genitori sono spesso accecati per i figli, poi quando quelli gli si rivoltano contro (non mi volete bene, non fate niente per me) ci restano malissimo. E tu dici bene: viziare i figli significa impedire loro di usare l’intelligenza. Sono contenta di risentirti, Flavia, e spero che i momenti difficili siano superati.

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  3. Quando non sono i genitori, capaci di impartire le giuste lezioni ai figli, allora è la vita a farlo: spesso in termini molto duri. Eppure non tutti comprendono: ma alla fine il protagonista del tuo racconto, via, un po’ di luce ha iniziato a intravvederla…
    Baci e buon fine settimana!

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    • Sì, è la vita fatta così. La sua durezza è costruttiva, capire lentamente come stanno in realtà le cose fa crescere anche le piante più delicate. Viziare i figli è un delitto perché li preparano ad una debolezza mentale e a gravi smarrimenti e squilibri.
      Il ragazzo del racconto, alla fine, mi ha fatto pena, ma tu dimmi, dopo tanti sollazzi adesso, quando rimarrà da solo, che lavoro saprà fare? Chi lo vorrà?

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  4. Tasto dolente questo, ma quanto reale!
    Per fortuna i miei figli sono l’esatto contrario di Leopoldo, e sono ben quattro.
    Sono loro che aiutano noi, adesso. E sono amorevoli e attenti alle nostre necessità.
    Non ci hanno mai dato grossi dispiaceri.
    Ma li abbiamo allevati nel rispetto del lavoro e del tempo, delle persone e delle cose,
    Dici bene, genitori che viziano i figli non li amano nella maniera giusta, fanno loro del male.

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    • Tu e tuo marito siete stati evidentemente capaci di crescerli bene e coscienti, l’accontentarli in tutto è un grave errore di malinteso amore. In quanto al mio lavoro di insegnante, era come avere molti figli di fronte, tutti pronti a giudicarmi e vedere fin dove potevano spingersi. Così ho seguito quel detto: patti chiari, amicizia lunga. Poi avevo inventato da me un altro proverbio: o voi o io, meglio io.
      Lo spiego perché è un po’ ermetico: non avrei sopportato l’inferno che le stesse mie classi facevano con gli altri insegnanti, quindi spiegavo, interrogavo, mettevo il voto che si meritavano e li spingevo a stare attenti per meritare i bei voti. Altrimenti quello che scrivevo gli toccava e amen, con possibilità di recupero mangiandosi i gomiti a uno a uno (due ne avevano, come me) perché o comandavano loro oppure io, meglio io. Ecco.
      Dopo avere affrontato le classi di allievi moderni, mi sento di entrare nel colosseo, contro i leoni, armata di un frustino leggero.

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  5. Beh, un finale di redenzione, poverino infine non è neppure colpa sua. Comunque il mestiere di genitore è veramente difficile, quando ci sono in ballo i sentimenti devi sempre mediare tra quello che è giusto e quello che l’amore ti farebbe fare.

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    • E quant’è difficile essere genitori. Nella vita si procede sbagliando, correggendosi e sbagliando ancora. Comunque qualcosa si può e si deve tentare per fare il minor danno possibile: ci sono le librerie e internet dove informarsi almeno per conoscere un po’ di pedagogia ed evitare l’improvvisazione assoluta.

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